“Mi è subito piaciuto, ma rimasi sorpresa che non avesse un accento inglese. Per qualche ragione pensavo che i Velvet Underground fossero inglesi e avevo solo una vaga idea di quello che avessero fatto (lo so, lo so). Venivo da un mondo completamente diverso. E tutti i mondi a New York all’epoca (il mondo della moda, il mondo dell’arte, il mondo della letteratura, il mondo del rock, il mondo della finanza) erano abbastanza provinciali. In un certo senso sprezzanti. Ancora non legati tra loro. Come poi avemmo modo di scoprire, Lou ed io non vivevamo molto lontano l’uno dall’altro a New York, e dopo il festival Lou suggerì di vederci. Penso gli sia piaciuto quando ho risposto “sì! Assolutamente! Ora sono in tour, ma quando tornerò, vediamo, tra circa quattro mesi, vediamoci sicuramente!”. Andò avanti per un po’, e finalmente mi chiese se volevo andare all’Audio Engineering Society Convention. La Convention è uno dei posti più grandi e importanti dove entusiasmarsi sull’ultimo equipaggiamento tecnico, e passammo un pomeriggio felice guardando amplificatori, cavi e parlando delle cose elettroniche da comprare. Non avevo alcuna idea che quello dovesse essere un appuntamento, ma quando andammo a prendere un caffè dopo mi chiese “vorresti andare al cinema?”. Certo. “E dopo di quello a cena?”. OK. “E poi una passeggiata?”. Da quel momento non ci siamo mai separati.
Lou e io suonavamo insieme, diventammo migliori amici, e poi compagni, abbiamo viaggiato, ascoltato e criticato il lavoro dell’altro, studiato cose insieme (la caccia alle farfalle, la meditazione, andare in kayak). Facevamo battute ridicole, abbiamo smesso di fumare 20 volte, combattuto; imparato a trattenere il fiato sott’acqua, siamo andati in Africa, abbiamo cantato arie d’opera in ascensore; fatto amicizia con persone improbabili, ci siamo seguiti in tour quando è stato possibile, abbiamo avuto una dolcissima cagnolina che suonava il piano, condiviso una casa che era diversa dai nostri rispettivi appartamenti, abbiamo protetto e amato l’altro. Andavamo spesso a vedere arte, musica, spettacoli, teatro e ho osservato come amava e apprezzava altri artisti e musicisti. Era sempre così generoso. Sapeva come fosse difficile l’ambiente. Amavamo la nostra vita nel West Village e i nostri amici; e, in tutto ciò, abbiamo sempre fatto tutto nel miglior modo che ci riuscisse.

Come molte coppie, ognuno di noi ha costruito un modo d’essere: strategie, e a volte compromessi, che ci hanno permesso di essere parte di una coppia. A volte abbiamo perso un po’ di più di quello che eravamo capaci di dare, o abbiamo ceduto un po’ troppo, o ci siamo sentiti abbandonati. A volte ci siamo davvero arrabbiati. Ma anche quando ero fuori di me, non ero mai annoiata. Abbiamo imparato a perdonarci l’un l’altro. E in qualche modo, per 21 anni, abbiamo intrecciato le nostre menti e i nostri cuori, insieme.

Era la primavera del 2008. Stavo camminando per strada, in California, mi sentivo abbattuta e parlavo al cellullare con Lou. “Ci sono tante cose che non ho mai fatto e che volevo fare” gli ho detto.

“Come cosa, per esempio?”

“Non so, non ho mai imparato il tedesco, non ho mai studiato fisica, non mi sono mai sposata”

“Perché non ci sposiamo?” mi ha chiesto. “Ci incontriamo a metà strada. Arrivo in Colorado. Che ne dici di domani?”

“Uhm… non pensi che domani sia un po’ troppo presto?”

“No, non lo penso”.

E così il giorno dopo ci siamo incontrati a Boulder, in Colorado, e ci siamo sposati nel giardino di un amico, di sabato, indossando i nostri normali vestiti da sabato, e sebbene dovessi fare uno spettacolo subito dopo la cerimonia, per Lou andava bene. (I musicisti che si sposano è come quando si sposano due avvocati. Quando dici “accidenti devo lavorare in studio fino alle tre di notte”).”

Laurie Anderson

 

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