Cavalcando i devo e i voglio col motore a inchiostro, piccole cerimonie autistiche e i rebus sparsi nelle dita. Quell’occhio olimpico di formica, lo scoacht sulle distorsioni, uno specchio rotto per liberarsi e poi ricomposto per farsi le domande giuste. Crepe addosso che sanno ancora sanguinare, i bagni d’acqua ossigenata e sali del Mar Morto, un mezzo graffio sul viso, l’uomo che ride, quell’avamposto sempre di vedetta, la mano a visiera e i fili di lana per passare il tempo. Di bianco e nero enigmistico, per uno spicchio di luccicanza nei margini. Puntare il dito contro la putredine dentro e intorno, la scoperta del mondo al di là, cosa c’è sottoterra e cosa nell’iperuranio. Nessuno vuole parlarne davvero, come di guerre e farfalle, marketing e censure. Giravolte solitarie lungo le autostrade, tra le ciminiere tossiche, nei cunicoli informatici, ovunque ci sia una qualche nebbia irrisolta. Moriremo per questi fumi.  Decidersi un vestito troppo grande mentre si amano le piccole cose. Un paradosso che tiene in vita. E poi l’accendino azzurro, l’odore di bucato e promesse, un bianco accecante che sgrana gli occhi, le macerie della fortezza che mi scopre nuda con le mani nel fango.

Cercavo una qualche magia- dico. Qualcosa per cui può valerne la pena. Non so se bisognava sporcarsi così, ma guarda: una pietra a forma di elefante.

E tu non dici niente. ridi e mi prendi le mani.

Le mie mani si sciolgono. Mi sembra così. Poi mi viene voglia di ballare e fare l’amore sui tetti, di essere un gatto, quella nuvola, la tazzina di caffè.

E se questo  mattino durasse davvero? E si potesse andare a Parigi?

Eppure non ho più bisogno di così tante cose. Imparando una specie di equilibrio idroelettrico, le micce lunghe, il tempo di posa e sedimentazione, la monodose del discount, la metà del letto. Ed è proprio questo essere finiti, forse, a sciogliere le braccia conserte. Di tutte le volte che abbiamo sbagliato strada e siamo caduti: un sussulto bandiera. Se sparisse il bianco, l’accendino azzurro, il fumetto sul comodino. Tutti questi periodi ipotetici, tutta questa vita. Il mattino dalle persiane è così bianco. Entra nella mia stanza dolce e deciso: un treno di luce che mi passa addosso. E va via. Poi ritorna e diventa una sciarpa. Si espande, una coperta. Una coperta sempre più grande.

Perché piangi?- dici.

Non lo so. Io non ho più freddo. E sai, scavando nel fango non me ne ero accorta.

Di cosa?

Di avere freddo.

Sorridi. Tutto il resto non importa.

Delia Cardinale

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