“La vita è molto semplice. Per essere felici non ci vuole tanto. Per essere felici non ci vuole quasi niente. Niente, comunque, che non sia già dentro di noi. (…) E’ il tempo la nostra prigione. Il troppo presto, il troppo tardi, il troppo breve e troppo poco.”

Ferite d’oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un’antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture, le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso poichè la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore.

“Il dolore da solo non uccide. L’assenza di un amore si ripara con altro amore. Perché la natura ha deciso così”.

Irina Lucidi è una di queste creature. E’ la mamma delle gemelline Alessia e Livia scomparse misteriosamente per mano del padre svizzero tedesco. Una donna che non dimentica il passato, al contrario: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore. Irina ha una vita serena, ordinata. È italiana, vive in Svizzera e lavora come avvocato. Un giorno qualcosa si incrina e il matrimonio finisce. Senza traumi apparenti. In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, porta via Alessia e Livia. Spariscono. Qualche giorno dopo l’uomo si uccide e delle bambine più nessuna traccia.

“Lei ha figli?, ti chiedono. E taci. Sì, due. Vorresti dire. Perché è così, ne hai due. Sono lì ogni istante. Dell’assenza non ti puoi mai liberare. Della presenza sì, ti dimentichi a momenti. Sei in un’altra stanza, sei concentrato su un lavoro, sei preso altrove, non ci pensi: sai che la presenza se ne va ma torna, può tornare con un gesto, è facile. Dell’assenza non ti dimentichi mai. Non ti permette distrazione, mai. Allora dici: sì, ne ho due. Poi dovresti aggiungere: però sono morte. Probabilmente morte, se proprio vuoi essere precisa. Ma non lo dici.”

Irina ha bisogno, a distanza di quattro anni dai tragici fatti, di scrivere, di comunicare e lo fa cercando e usando la De Gregorio come intermediaria, che con grande delicatezza sparisce quasi in queste pagine e si presta mirabilmente a restituirci l’immagine di una donna che si ama e che ama, a dispetto di tutto. Ha necessità di una voce che non ha più, di una lucidità da esprimere in parole e poi in pagine. Brevi capitoletti alternano le voci femminili in questione; Concita offre una sorta di cronistoria dell’incontro fra le due e del loro lavoro di conoscenza reciproca, Irina scrive missive e rivolgendosi all’archivista ottusa, alla maestra latitante, alla nonna, al padre, al giudice o allo stesso marito all’epoca dei fatti, offre la storia di se stessa, della sua famiglia d’origine, della sua famiglia, delle indagini e del suo percorso successivo. Si rapporta ad una dimensione temporale che ormai non la rende più schiava delle quotidiane categorie temporali di ieri, oggi e domani, vive il presente e riscopre se stessa e l’amore.

Todo quadra.

 

Cristina Carlà

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*