Avete mai avuto una cerniera sul mare?

Di quelle lampo che sfidano il tempo,  quelle stupidissime e scontate  dei giubbotti.

Però sul mare.

E quindi magiche.

Fa freddissimo, poi caldissimo. Da un lato o dall’altro della cerniera.

L’avete mai avuta? Io si, per la prima volta.

Su una nave volante ancorata alla scogliera di un posto lontanissimo dietro casa.

Non ero sola, come sempre nei sogni interstellari e nel suo zaino c’erano tanti vestiti a fiori colorati. Nel mio una maschera da sub che non ho usato. Un piccolo olivastro schiaffeggiato dal vento, balle di fieno, strani totem di pietra, schegge di vetro verde. E la kryptonite negli occhi: i miei e i suoi. Strani specchi di bosco.

Di lupi e fate spiriti lame frutta di stagione. Sale dolce addosso, una scatola che si rovescia, risate d’ovatta. E avevo dimenticato tutto: pettine  mutande  borsa-frigo gente intorno.

A picco sulle onde, battendo paletti con grossi sassi sporchi che poi sparivano nel centimetro di terra dura sopra le rocce. La foga di quella necessità per non ritrovarsi chissà dove, con le vele e la leggerezza dei corpi sottili. E si chiude la cerniera dietro la schiena del mondo.

Siamo epidermide odore capelli mani respiri.

Ma come per la ricreazione di tanti anni fa arriva il tempo e la campanella. Sempre un di già.  Qualche incombenza generica della vita. E si apre la cerniera sul mare. Un uscio perfetto che asciuga, la linea di confine tra dentro e fuori. Dove ci si ripiega, in qualche modo, uno sull’altro, fumando ridendo guardandosi i nei. Il mare immenso indifferente: una poesia tutta virgole.

Qualche altro secolo così e saremmo diventate conchiglie o sirene.

E ho pensato che nessun’altra donna mi avrebbe preso la pietra dalle mani, come lei . Togliendomi un peso. Fosse stato quell’agglomerato di minerali tutto il male del mondo. Un gesto di natura che ho trovato bellissimo. Tenevo il picchetto, lei batteva, lui spariva. “togli le mani” ad un certo punto. Il massimo dell’armonia.

E chissà se saremo cattive o ci accarezzeremo ci nuovo così, come negli  anni 90 dove non ci sono telefoni e tutti piangono facile. Rinfacciandoci film e serie di tv che non abbiamo ancora visto. E questo verde azzurro una lampuga immaginaria con le ali. Un pesce mai pescato: la mia balena bianca.

Vado sempre in giro senza arpione: è l’avvistamento fluido, quel nuotarsi accanto come foglie vive. Poi lei diceva che ero di pasta frolla e io le baciavo la schiena. I capelli al vento arruffati e l’origami a quattro mani per andare via a smezzarci una pizza. E dirci addio o a domani forse o a qualche altro giorno che tanto non sappiamo. Un crocevia ventilato. Che lei doveva fare pipì e occuparsi delle sue cose e io anche. Dopo qualche sbadiglio da occhi lucidi perché la kryptonite sfianca e anche se ho ancora fame devo andare. A passare un finto badge da qualche parte. Nuche umide e passi svelti in perpendicolare. Come la t della sua cicatrice: percorsi.

La cerniera magica in tasca con un odore nuovo. Spero di aprirla ancora. E cercare le pietre e poi chiuderla per tuffarci in mare all’alba. E magari qualche birra e un buon libro da leggere a righe alterne.

Delia Cardinale

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