Se l’influsso di X Factor si è sentito pesantemente negli Skunk anansie – un ultimo, scialbo album, contro l’energico “Black traffic” che l’aveva preceduto – gli Afterhours sembrano aver trovato persino ispirazione e vitalità dalla tanto chiacchierata prossima partecipazione di Manuel Agnelli al talent show.
“Folfiri o Folfox”, ultima fatica in studio della band milanese, sembra aver riportato almeno in parte il sestetto lombardo all’ispirazione di diversi anni fa, senza tuttavia fargli perdere quella ricercata follia negli arrangiamenti che aveva caratterizzato i lavori che l’hanno preceduto.
L’album alterna episodi piacevolmente orecchiabili (“Non voglio ritrovare il tuo nome”) a brani ruvidi e cattivi che potrebbero quasi riportarci ai tempi di “Hai paura del buio” (“Il mio popolo si fa”). Personalmente trovo commovente la struggente resa al passare del tempo de “L’odore della giacca di mio padre”: sarà che le mie recenti storie di vita vissuta me la fanno sentire molto vicina, ma posso garantire che il testo coglie nel segno, pienamente.
“Folfiri o folfox”, a dispetto di un titolo incomprensibile, ritrova diverse aperture melodiche che sembravano quasi smarrite nella carriera più recente degli Afterhours, ma lo fa senza (quasi) mai scadere nel banale: ne sono esempio l’incedere rock di “Ti cambia il sapore” e “Qualche tipo di grandezza”.
Nella parte centrale le concessioni alla melodia appaiono molto marcate in un paio di episodi, ma vengono subito smentite dalla follia della title track e della successiva, bellissima “Fa male solo la prima volta”. Anche la parte finale della tracklist è ben bilanciata fra ballate e aggressioni, a confermare che la band è tornata ad essere credibile in entrambi i territori.
La chiusura è affidata a una specie di inno come “Se io fossi il giudice”, quasi paradossale nel prossimo ruolo televisivo del frontman, ma senza dubbio sappiamo che Agnelli saprà essere coerente anche in quella occasione.

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