La rarità dell’empatia e lo sdegno della pochezza


Il domino in file a triple ogive, una perfezione angolare per triadi incrociate.

Che sia un fiore di loto la distruzione, un orizzonte di tessere nere dai risvolti vegetali. 

Perché sono io a decidere la forma dell’oblio, cosa lasciar cadere, cosa portarmi sempre dietro.

Cosa va distrutto o biodegradato, cosa custodito nel taschino interno. E la costruzione del metodo è il più alto esito dei quest’arte di vivere.

Ad ognuno la propria.

Per quelle poche  cose che non si scelgono un’accoglienza selettiva, che mi camminino pure accanto, ma senza più intralciarmi.

Perdonarmi qualche sgambetto un atto d’umiltà.

E spero, ma in fondo voglio, che tutti abbiano il metodo.

E spero, ma in fondo voglio, che qualcuno abbia un metodo migliore.

Perché non si può star fermi e non esistono torri d’avorio.

Lo sdegno della pochezza  – dell’unto che non si sfrega abbastanza, della superficialità, di strascichi e vizi d’agio –  imbizzarisce il cavallo nero, quello che tende verso il basso, a cui l’auriga decide un doppio finimento.

Che neanche la punta dei suoi zoccoli sfiori più la putredine, anche se per volere questo bisogna aver fatto il giro, essere stati veramente esausti, bisogna riuscire a guardare oltre tutti i bordi.

Ma c’è sempre quella crepa nel pensiero in cui s’annidano le ragioni della collera, l’umano limite di sopportazione, soggettivo come la bellezza e il taglio fotografico.

Una fenditura che i saggi  riempiono d’oro, come con le ceramiche giapponesi: il livello di spirito per riuscirci necessita un qualche tipo di santità.

Ma io che sono io, non posso snaturarmi.

L’empatia si retroverte quando si sfianca, viene abusata o messa in ridicolo.

La rarità dell’empatia si corrompe nella rarità del suo opposto e contrario, che è come dire : “non voglio più comprendere nella misura in cui non vengo compreso”.

Ogni tipo di relazione è una funzione biunivoca, a tratti prevedibile, a tratti irriducibile.

Non importa né il risultato, né la dimostrazione, solo il procedimento. 

Avessimo coscienze robotiche conserveremmo solo ciò che conta davvero e permette il funzionamento sistemico. Ma siamo, per delitto di specie, umanamente assuefatti all’inutilità, al risultato e alla dimostrazione.

Per questo spesso si manca il momento, si guarda il prima, il dopo e mai il durante.

Per questo, poi, il sentimento più diffuso è l’insoddisfazione.

È tutto sempre e solo questione di scelte.

Delia Cardinale

Immagine di copertina:

©SHE IS FOUND STUDIO | “About childhood” by Milou Krietemeijer-Dirks

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