Qui siamo di fronte a un capolavoro: lo dico così, brutalmente e senza mezzi termini – come fanno spesso i testi di quest’album – tanto per fugare da subito ogni dubbio.

Quando, sulla batteria di Pater, ho sentito innestarsi l’arpeggio di chitarra, e poi la voce ipnotica di Stefano Rampoldi ho pensato immediatamente ai Radiohead.

Il nuovo album di Edda si presenta così, con un brano tagliente e sconvolgente, dalle sonorità splendidamente indie e con una rabbia esplosiva. Attraverso la voce di una ragazza violentata a dodici anni da suo padre l’ex frontman dei Ritmo tribale ci introduce a uno stupendo viaggio da incubo che durerà per tutte le 17 tracce del cd.

È del tutto nuovo, questo Edda di Stavolta come mi ammazzerai, almeno rispetto ai due precedenti album, che musicalmente erano molto più introspettivi ed essenziali. Qui c’è un lavoro sapiente di produzione artistica curata da Fabio Capalbo, che mette in risalto la voce del cantante milanese ben più di quanto non facessero gli arrangiamenti scarni dei vecchi lavori in studio: può sembrare un controsenso, ma aggiungere strumenti – spesso chiassosi – esalta la voce piuttosto che nasconderla.

Il suono è ruvido e interpreta un rock scarno ed essenziale, originale, energico e a volte disperato, come nel panorama italiano è davvero difficile trovare.

Riascoltando oggi il lavoro in studio dei No guru (Milano original soundtrack, 2010) sembra che le distanze fra i vecchi compagni d’avventura dei Ritmo tribale (Edda da un lato e Scaglia, Marceschi e Talia Accardi dall’altra) si siano accorciate tantissimo.

Stavolta come mi ammazzerai è un lavoro pregevole, a cui sta stretto qualsiasi accostamento e paragone. Ci sono canzoni di potenza devastante, prime fra tutte Stellina, Dormi e vieni e Ragazza meridionale: sporche, cattive e punk. Ci sono pause di riflessione che spesso sprofondano nella paranoia, come Peppa pig o Yamamay.

La personalità complessa di Edda esplode tutta nei testi – molto espliciti, al limite della violenza verbale – ma anche negli arrangiamenti e nel modo di modulare la voce, che cambia registro adattandosi di volta in volta ai personaggi che interpreta. Spesso racconta storie in prima persona – a volte di personaggi femminili, a volte maschili, con la stessa cruda disinvoltura – e quasi mai si tratta di vicende semplici, di vite ordinate.

Emerge un vissuto di famiglia (“famiglia di dannati”): dalla terribile figura paterna evocata nella traccia di apertura al fratello e la sorella citati in Coniglio rosa; e, soprattutto, affiora spesso l’ingombrante figura materna (di cui il cantante ha adottato il nome proprio come pseudonimo): “tutte le puttane di questo paese assomigliano a mia madre. Oggi è veramente una giornata di merda, ma tu sei troppo bella”. Ma compaiono spesso anche figure della tradizione cattolica, gettate nella mischia con irriverenza (“A Dio non piaccio mica” o “Avemaria è una cosa mia”) e con voluti affronti alle verità consolidate (“Cristo è morto di lunedì”).

Stavolta come mi ammazzerai non è un disco semplice, non è di ascolto immediato, ma ti accorgi da subito che si tratta di un lavoro ben fatto, dopodiché ti striscia sotto pelle ogni volta di più. Se pensate che il rock italiano sia spesso pulito e melodico, iper-prodotto e prevedibile, quest’album vi farà cambiare radicalmente idea.

E ora dimenticate tutto quello che ho detto e lasciatevi trasportare dal pianoforte della traccia finale Saibene, ma senza farvi ingannare perché, come conclude lo stesso Edda “chi dice la verità non può chiamarsi Rampoldi”.

Manlio Ranieri

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