Oggi, dopo il concerto al Sonic Park di Matera, nella splendida cornice delle Cave del Sole, sento di avere dei motivi per dire grazie a Brian Molko e ai suoi compagni.
Grazie per aver ricordato che Matera era la città preferita di Pasolini, e aver dedicato a lui una canzone.
Grazie per averne dedicata una alla sua amica attrice e cantante Jane Birkin, scomparsa il giorno stesso del concerto.
Grazie per aver detto, qualche giorno fa, quello che pensa del nostro presidente del consiglio. Come ha detto persino Papa Francesco – non proprio un punk rocker – gli artisti hanno il dovere morale di parlare, di essere scomodi. Quante critiche ha ricevuto Brian per quelle parole dal palco di Stupinigi? Tante, segno che ha fatto centro, ha smosso le acque, rimestato il torbido portandolo a galla.
Grazie a Stefan per essere sceso ad abbracciare, a fine concerto, tutti gli spettatori della prima fila, uno a uno.

Soprattutto, vorrei dire grazie a Brian e Stefan per essere riusciti in un’impresa che poteva sembrare impossibile: convincere con le buone diverse migliaia di spettatori a non prendere mai il telefonino in mano durante l’intera durata del concerto. Non è stato necessario chiuderli in sacchetti ermetici, è bastato chiederlo con forte insistenza ma anche con molta gentilezza e, soprattutto, spiegare perché non gradivano quella selva di schermi dalla luce fredda sulle nostre teste.
“La continua presenza di telefonini che riprendono il concerto rende più complicata la nostra performance, rende più complicato connetterci con voi e comunicare efficacemente le emozioni delle nostre canzoni. In più è una mancanza di rispetto verso gli altri spettatori che vogliono guardare lo spettacolo, non il retro del vostro telefonino.”
L’hanno ripetuto fino alla nausea, appeso questo messaggio davanti agli ingressi, alle casse dell’area food, persino nei bagni. Non potevamo neanche andare a pisciare, senza che Brian e Stefan ci ricordassero che ci volevano “qui e ora, nel presente a goderci il momento”.
Ebbene: ha funzionato. Quasi nessuno ha ripreso lo show con la discutibile qualità dei video degli smartphone. Solo una volta Brian ha dovuto alzare il tono e minacciare di lasciare il palco, fra una canzone e l’altra, per riprendere quei pochi che proprio non sapevano rinunciarvi.
Soprattutto, mi sono reso conto di un paio di cose:
1. vedere le mani libere, ondulanti e festanti sopra le nostre teste era molto più bello che vederle tese e rigide, trasformate in treppiedi tremanti per apparecchiature elettroniche.
2. tutte le testimonianze che non ho raccolto con il mio dispositivo (lo ammetto: anch’io, di solito, qualche fotografia e un breve video li catturo) non sono poi questa gran perdita, soprattutto se paragonati a quanto mi son potuto godere di più il concerto. Forza diciamocelo: ma quante volte, poi, davvero, li andiamo a riguardare quei video di merda? Una? Forse due? E’ davvero così irrinunciabile?
La risposta adesso la so, ed è grazie ai Placebo: No.

Un ultimo ringraziamento va agli organizzatori, per aver messo in piedi forse lo show meglio concepito di tutto il Sud Italia. Servizi eccellenti, distributori di acqua gratuita, cibo di qualità, non banale e locale, una location meravigliosa e, soprattutto, un’idea tanto semplice quanto geniale: la platea che digradava verso il palco, così che la visuale fosse ottima da qualsiasi punto e nessuno avesse da lamentarsi se trovava davanti un giocatore di basket alto un metro e novanta.

Testo e fotografia: Manlio Ranieri

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