Vivienne Westwood ovvero l’elogio del punk e della libertà

Fino agli anni settanta ci si vestiva troppo normali.
E la moda dettava le cose. Non le inventava.
Pensatela, la differenza tra un dettato e un’invenzione letteraria.
Fatto?
Ecco.
Questo è quello che Vivienne Westwood ha combinato nel campo della moda.
Ha detto ad alta voce che era il momento di smetterla e di mettersi a creare una rivoluzione. Da mettersi addosso.
Probabilmente è stata la prima a strappare un paio di jeans.
Si narra che a cinque anni si disegnasse le scarpe.
A diciassette anni va a studiare oreficeria e moda.
Volete che faccia l’insegnante? Vabbu, basta che vi state zitti. Lo fa per qualche anno, ma la chiamata ritorna.
Qualcuno la fuorvia, ma l’amore per la moda ritorna. La credereste una maestra di scuola elementare?
Intanto inventa gioielli e va a venderseli per i cazzi suoi alle bancarelle di Portobello Road. Mentre faceva la maestra. Possiamo dire che la sua evoluzione stilistica comincia da lì. Dalle bancarelle di Portobello Road. Per lei la moda è ricerca, denuncia, emozione, comunicazione, anche disturbo. Mi piacerebbe narrarvi random delle follie di questa donna.
Disegna da sola il suo abito da sposa, quando sposa il signor Westwood. Visto che c’ha un cognome figo se lo tiene anche nel nome d’arte, ma poi divorziano. Si mette con quello che diventerà il manager dei Sex Pistols, e gli abiti di scena di quei matti è lei a disegnarli. Aprono un negozio, gli cambiano nome tre o quattro volte (perché loro cercano, divengono) ma il negozio sta ancora là, al 430 di King’s Road a Londra.
E che cosa mettono sull’insegna? Un orologio che gira al contrario.
Vivien Westwood negli anni settanta sperimenta e definisce lo stile punk. Che, ci stiamo spaventando? Nelle provocazioni e stravaganze di ciò che propone di mettersi addosso ai giovani inglesi giace molto più di una ricerca.
E che vuol dire essere punk? È un modo di vedere la vita, seguendo la propria libertà di espressione, la libertà di non temere il giudizio degli altri.

Minchia, il pensiero pulsa. Scorre, cambia, vivifica.
Il punk è andare contro ciò che la società si aspetta da noi. E i British si aspettavano che tutti facessero zitti i minatori, che non si unissero in sindacati, e che facessero mestieri rispettabili. La maestrina? Col cazzo!
È un grido puro e semplice di vita, di libertà.
La sua prima sfilata fu nel 1981, e indovinate come si chiamava la collezione? Pirate!
Attenta osservatrice del mondo, trae ispirazione dopo una visita a una galleria d’arte, in un quadro o leggendo una poesia. Trasforma tutto in una narrazione emotiva da mettersi addosso.
Le sue magliette furono così esplicite che chi le indossava veniva arrestato.
Brucia vestiti, fa accessori a forma di pene eretto, tiene feste nei luoghi malfamati di Londra, l’allora primo ministro David Cameron deve averla temuta parecchio, dato che voleva portargli l’amianto a casa e ha marciato su Downing Street, fino al civico 10, a casa sua, su un carro armato. Perché le politiche del cazzo che distruggono il pianeta la fanno incazzare.
E’ una donna che ha creato il proprio impero da nulla.
Nei suoi negozi c’è un cartello appeso al muro: buy less, choose well, make it last, che vuol dire compra meno, scegli meglio e fallo durare. E’ quasi rammaricata che il suo marchio si sia espanso così tanto.
“Non sto cercando di fare solo vestiti, credo di dare una bellissima opportunità alle persone di esprimere la loro personalità. E ciò ha a che fare con la ribellione, è qualità non quantità. Questa è la vera ribellione per me”.
Lei stessa ammette che la sua azienda è cresciuta così velocemente che i prodotti sono troppi e che sta cercando di ridurre le cose. E ci sta riuscendo.

Tutti i prodotti firmati da Vivienne Westwood sono cruelty-free, privi di pelli e pellicce d’origine animale. Il suo impegno civile e per i diritti umani va da Greenpeace ad Amnesty International, alla campagna Save the Arctic per fermare le trivellazioni e la pesca industriale nell’Artico, dalle t-shirt realizzate in collaborazione con Marie Claire e People Tree per raccogliere fondi da devolvere alle tribù indigene della foresta pluviale.
Cosa ci insegna?
Che la strada e la moda di strada sono una grande fonte di ispirazione, che le persone sono fatte di emozioni, e conta anche come se le mettono addosso.
Che la storia e la ricerca sono importanti.
Che siamo tutti esseri in evoluzione, autori e personaggi.
Che dal passato posso riprendere e reinventare le cose, e farle meravigliose.
In una delle sue famose collezioni ha reinventato il corsetto e il faux-cul.
Sono andata a cercare, non sapevo che si chiamasse così, ma è quell’accessorio che mi ha sempre fatto amare le donne del passato e la loro eleganza.
Quella prominenza in fondo alla schiena, un artificio sensualissimo.
Ve la ricordate la scena di Rossella O’Hara? Vivien Westwood trasforma il corsetto da qualcosa che castiga a qualcosa che valorizza e che si può indossare.
In effetti reinventa tutto ciò che per la donna è stato un castigo. Lo rende morbido, adattabile al corpo, non pesante, pronto da indossare. Riproduce i dipinti degli artisti che ama e li fa mettere sui corsetti.
Tartan, tweed e lana inglese, tutto riesce a mettere a nuovo e soprattutto addosso.
La gente ha a che fare con i miei vestiti. La gente c’entra, con i miei vestiti.
Lei ama il mondo in modo scriteriato. Usa la propria voce per denunciare.
E’ fantastico come i vestiti possano emozionare, ti aiutano a fronteggiare il mondo nel modo spettacolare che ti meriti.
I suoi catwalk sono una festa, e quando esce lei è sempre un tripudio. Andate a vedere. Quando esce provoca, suscita, muove.
E si diverte da pazzi!
E’ una matta che fa la ruota! I modelli e le modelle la venerano! Se la portano in trionfo e sulle spalle.
Perfino il modo in cui si toglie gli occhiali è carico di charme, ed è questo che propone, anche. Cappelli, occhialoni per giocare a chi si è.
Tocchi di passato e presente, pezzi di storia della moda reiventati.
Non siamo forse noi la continua reinvenzione della nostra storia?
Se avessimo cultura invece del consumismo non avremmo un cambiamento climatico. […] La cultura fa pensare la gente.
Andatevi a vedere il suo profilo Instagram. E il sito.
E’ una di noi. Ed è più maledetta che mai!

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