Stritola l’edera ogni fede.

E piove nello specchio: smorfia esausta d’entropia.

Il disgusto nel piloro e questa caliginosa umanità che non traspare.

Ma non sentenzia il tuo tribunale oltranzista, resti sospeso nella vacuità: conosci già un Inferno e questa bolgia tutt’intorno è ancora scialba. Nessun dolore così dirompente da scuotere il tuo edificio di sangue e volontà. Eppure una profonda tristezza filtra dal setaccio del buonsenso: pula e grano ai tuoi piedi d’eretico…e non sai più discernere- come sarà la farina questa volta? Come il pane in tavola? T’ avessero smorzato il sentire nella culla- pensi.

T’avessero costretto a chinare il capo. Eppure una qualche congiunzione astrale o genetica, un qualche Dio beffardo t’hanno fatto immenso e inutile, misero e consapevole. Per questo da che ti reggi sulle gambe hai interrogato i libri.

Milioni di pagine: virtù e leggende, amore e pazzia, lascivia e gioia pietà giustizia religione guerre croci spade treni viltà. Sfogliando vite vissute e fantasia hai deciso di costruirti imitandone sublimità formale e apertura concettuale.

E ti sei punito nell’antieroismo dell’ incapacità, su tutte le rupi da cui non hai spiccato il volo.

Hai sempre preteso da te stesso veggenza e beni superiori- che i miei occhi siano gli stessi di chi mi guarda. E Cristo dettò la pietà per uccidere la diabolica Medea, che pure hai amato da bambino. E venne Tolomeo..e venne Galileo. Per te un continuo indagare taciturno. Poi lo strappo nel cielo di carta e l’invito del mondo: assenzio e puttane, teatro di posa, il nord Europa, strategie di marketing, qualunquismo di strada, tristi interni condominiali, piazze assolate, il canto delle tue colline e questo chiasso cittadino. Una nuova e pulsante enciclopedia da assorbire. Cyrano come Margherita. Messalina come Semiramide-ieri. Ora, nella violenza del reale, è quanto mai rara la grandezza umana, nel bene o nel male. Non un Achille, non un Dorian Gray, nè Santa Chiara o Levi Matteo. Palude in cui tutto si somiglia,tu osservi, senza capire se ne fai parte. La tua valigia-curiosa e miscredente- è sempre troppo leggera. E hai pure i tuoi riti e gli animali.

Ma chi ha visto l’alba e il tramonto in un calice di vino falerno?

Chi ha dovuto morire per amare la vita-al di là della sua rappresentazione artistica e della natura? Adesso ti annoi, ma questo pulsare intorno è come una droga i cui effetti si frantumano in infinitesimi-vale per l’attimo di pienezza un secolo di feroci ricerche? La scoperta consapevole dei sensi che portano al desiderio: inevitabile rovina. Nessun maledetto poeta ti ha cinto gli omeri e l’abbraccio cercato del mondo ha frustrato la tua ingordigia. Suprema sintesi, tra ciò che vuoi e ciò hai- è il tuo appiglio incerto. Sai distinguere il diamante dallo zircone, nelle miniere buie di questo vivere. Avrai pure i tuoi tempi. E non giudichi-umilmente come t’hanno insegnato- eppure sperimenti il dito puntato al petto. La più sincera compagnia: il tuo gatto. Questo c’è anche nei libri eppure vivi lo stupore che colma il varco tra teoria e prassi. A volte non hai alcun interesse a comunicare-a che serve, in fondo? C’è chi tira l’acqua al proprio mulino, chi invece lo combatte. La giustizia sta nel mezzo, come la verità.

Esausto delle parole, t’ammanti di silenzio. Allacciate poi le scarpe ti scuci di dosso ogni zavorra lasciandoti attraversare dal vento, come da ogni altra cosa.

 

Delia Cardinale

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