Immagine di copertina © Ian Berry/Magnum Photos

Di GIULIA MADAU

  1. STORIA DEL FOTOGIORNALISMO

  2. FOTOGRAFIA COME NOTIZIA

  3. LA FOTO COME FRAMMENTO DI UN EVENTO

  4. SOGGETTIVITA’ DELLA FOTOGRAFIA

  5. ASPETTI TECNICI DELLA NOTIZIA FOTOGRAFICA

  6. L’AUTENTIFICAZIONE

  7. IL MIGLIORE FOTOGIORNALISMO

  8. LA CRISI DEL MESTIERE

  9. INTERVISTA A UN FOTOREPORTER

  10. BIBLIOGRAFIA

Immagine di copertina:

Broken Border

 

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Se sapessi raccontare una storia con le parole, non avrei bisogno di trascinarmi dietro una macchina fotografica.

Lewis Hine

1. STORIA DEL FOTOGIORNALISMO

La storia del fotogiornalismo è strettamente legata alle evoluzioni tecniche e culturali della carta stampata e all’invenzione della lastra a mezzatinta a fine Ottocento. La prima intervista che escluse il testo e si servì esclusivamente di sequenze fotografiche fu eseguita il 5 settembre 1886 da Paul Nadar, figlio di Felix. Nel 1890 l’Illustrated America si servì solo esclusivamente di fotografie, tralasciando persino il testo che introdusse in seguito. Ma è già con Matthew Brady che cominciarono a intravedersi, all’inizio dello stesso secolo, le qualità richieste al fotoreporter: prontezza nel cogliere l’attimo decisivo, capacità e uso sapiente della tecnica fotografica. Questo fotografo si recò, con la sua equipe, nei campi d’azione della guerra di secessione americana, rischiando la vita per fotografare non solo gli accampamenti ma anche le battaglie. Il problema fu che queste foto non poterono essere stampate sui giornali perché non esistevano ancora le possibilità tecniche. Fu grazie alle successive innovazioni tecnologiche, come appunto la lastra a mezzatinta e il primo apparecchio portatile della Kodak, che la fotografia fu introdotta nelle pagine dei quotidiani a scopo illustrativo, soprattutto come modo per “raccontare” ai lettori luoghi lontani. Quest’epoca è definita “pionieristica”.

Agli inizi del Novecento la fotografia diventò medium investigativo in territori dove lo sfruttamento dei più deboli era prassi comune, soprattutto durante la Prima Guerra Mondiale che fu scenario di verifica sul piano tecnico e pratico del mezzo fotografico.  Nella sua “epoca d’oro”, che corrisponde agli anni tra le due guerre mondiali, la foto diventa, infatti, mezzo di denuncia sociale soprattutto in Germania e negli Stati Uniti. La fotografia sociale rappresenta la realtà. Quest’affermazione è alquanto semplicistica e generale, perciò quando si parla di questo genere fotografico occorre tenere presente la precisazione di Alfredo De Paz: “ con l’espressione fotografia sociale non s’indica tanto un preciso genere fotografico quanto piuttosto una sensibilità e un atteggiamento di fronte alla realtà storica sociale contemporanea. La fotografia sociale cerca di stimolare nell’osservatore il risveglio di una coscienza”. In Germania, però, proprio per questo motivo subisce una brusca battuta d’arresto a causa dell’avvento del regime nazista. Mentre gli USA invece produssero nel 1936 il giornale “simbolo” del fotogiornalismo: Life che può giustamente essere considerato il capostipite del fotogiornalismo moderno. Un’impronta decisiva alla diffusione del reportage è data anche dai grandi fotografi della cooperativa Magnum, tra cui R.Capa, che con le loro fotografie hanno raccontato il mondo e i suoi avvenimenti per più di mezzo secolo. Proprio uno dei fondatori dell’agenzia, il grande Henri Cartier-Bresson, ha definito quel modo di fare reportage come la ricerca del “momento decisivo”.

2. FOTOGRAFIA COME NOTIZIA

Una delle attività assegnate alla fotografia è di essere considerata documento e prova. Essa è contingenza pura e poiché non può essere altro che quello (è sempre qualcosa che viene rappresentato), contrariamente al testo, il quale attraverso l’azione improvvisa di una sola parola può far passare una frase dalla descrizione alla riflessione, essa consegna immediatamente quei particolari che costituiscono precisamente il materiale del sapere etnologico (Roland Barthes). Le sue funzioni sono informare, rappresentare, sorprendere, far significare e allettare.

Lo straordinario impatto comunicativo e informativo della fotografia, che permette di “essere là dove i fatti accadono”, viene colto da subito. Essa in poco tempo ha stabilito un legame col giornalismo e con la stampa illustrata.

La fotografia, quindi, è utilizzata dai giornali non come semplice immagine ma come notizia. Il fotogiornalismo condensa quel modo di fare giornalismo che si può riassumere nelle parole d’ordine “andare, vedere, raccontare”. La macchina fotografica non illustra, dice (Archibald MacLeisch). Il fotogiornalista è nell’avvenimento, testimone privilegiato che riesce a raccontare gli eventi con una forza e un’immediatezza che raramente le parole possiedono. Per i fotografi il libro ideale delle fotografie contiene solo immagini: assolutamente niente testo (Robert Adams). Grazie a questa carica emozionale intrinseca nelle grandi fotografie di reportage il lettore s’identifica ed è in qualche modo compartecipe delle vicende fotografate. La fotografia diviene così il prolungamento dello sguardo del lettore. La carica emotiva e di suggestione che deriva dalla caratteristica del linguaggio fotografico rende possibile la trasformazione dell’immagine fotografica in simbolo, o icona di un evento.

3. LA FOTO COME FRAMMENTO DI UN EVENTO

La peculiarità della fotografia è di saper cogliere un attimo per sempre. Ciò che viene fotografato, quindi il soggetto inteso sia come luogo, oggetto o essere vivente, non è altro che un particolare, un frammento. La macchina fotografica fotografa soltanto una porzione e non l’evento nella sua totalità. Questo fa si che ciò che è rappresentato sia unico ed è proprio la sua unicità che crea la notizia. Nel senso che l’aspetto principale non e più l’evento in se ma il soggetto fotografico che diventa a sua volta un evento nuovo e autonomo.

4.SOGGETTIVITA’ DELLA FOTOGRAFIA

Il fotogiornalista fotografa un particolare dell’avvenimento: quello che secondo lui rappresenta meglio i valori notizia. Tali valori che dovrebbero essere oggettivi sono legati alla specificità dell’evento ma soprattutto al mezzo fotografico. Infatti, il fotografo valorizza i caratteri del soggetto che sono compatibili con le possibilità tecniche di ritrarlo e con il suo stile. Lo stile è il modo di comunicare del fotografo con il suo pubblico, è lui che trasforma l’avvenimento in notizia. Lui ha in mente un pubblico e sceglie i soggetti fotografici in base a questo. Quindi la fotografia è obiettiva solo in apparenza perché i valori notizia non sono dati dall’evento ma dalla soggettività e dallo stile del fotografo. Come afferma anche R. Barthes la fotografia giornalistica autentica il reale attraverso la soggettività. Essa rappresenta ciò che è stato e lo fa attraverso l’interpretazione del fotografo e le tecniche del mestiere.

5.ASPETTI TECNICI DELLA NOTIZIA FOTOGRAFICA

La relazione tra foto e giornali si può dividere in tre principali aspetti tecnici.

Il primo riguarda il rapporto con il contesto che è legato all’uso delle didascalie e al racconto fotografico. La didascalia merita un’attenzione particolare in quanto in passato veniva utilizzata per attirare il lettore, ma il più delle volte si discostava dalle indicazioni dell’immagine. Scrive la Sontag che durante gli ultimi combattimenti nei Balcani, le atrocità commesse sui bambini di un villaggio venivano mostrate attraverso le stesse fotografie da ambedue le fazioni (serbi e croati), bastava cambiarne la didascalia. Ora grazie all’avvento della TV la fotografia è diventata superiore rispetto alla parola e al testo scritto. Essa rappresenta da sola la notizia e non necessita quindi di una spiegazione. Qui entra in gioco il racconto fotografico, cioè una serie di foto che spiegano e raccontano autonomamente un avvenimento, senza il bisogno di un’esplicitazione testuale. Il racconto fotografico fu inventato una grandissima fotografa: Margaret Bourke-White. Il secondo aspetto tecnico è relativo all’impaginazione. Questa può essere a pausa o a flusso. Nel modello a pausa l’immagine esprime tutta la sua forza e la sua immediatezza comunicativa. La foto è di grandi dimensioni poiché viene valorizzata come particolare e come frammento di reale. Nel modello a flusso invece le immagini sono pubblicate in piccole dimensioni una dietro l’altra. Come nel racconto fotografico. Questo modello è quello più utilizzato dalla stampa italiana poiché rievoca lo scorrere delle immagini televisive. Il terzo e ultimo aspetto concerne la manipolazione e la falsificazione. Molto spesso, infatti, i giornali modificano e ritoccano le loro foto per alterarne il significato. Ci sono stati tanti casi di fotoreporter che hanno addirittura costruito le foto per documentare fatti che realmente accadevano ma che non potevano essere fotografati. La foto migliore, comunque, è sempre quella che dice la verità.

6.L’AUTENTIFICAZIONE

Ogni fotografia è un certificato di presenza. Essa non inventa ma è autentificazione. Gli artifici che essa consente non sono probatori ma sono solo dei trucchi. Una foto può essere ritoccata, manipolata o falsificata come ho scritto sopra. Ma in realtà può mentire solo sul senso e sul significato: mai sulla sua esistenza. Nel senso che ciò che viene fotografato è esistito veramente nella realtà indipendentemente dalla sua artificiosità. Essa rende il passato e ciò che vediamo nella foto sicuro quanto il presente. Ciò che sta davanti all’obiettivo dà l’illusione di realtà. La fotografia ha una forza documentativa non sull’oggetto ma sul tempo, il suo potere di autentificazione supera quello di raffigurazione.

7.IL MIGLIORE FOTOGIORNALISMO

La fotografia di guerra possiede tutte le caratteristiche del migliore fotogiornalismo. Infatti, uno dei più efficaci utilizzi della fotografia è stato, ed è tuttora, la documentazione degli eventi catastrofici a uso giornalistico. Una buona parte delle foto che vediamo nei quotidiani proviene dai conflitti in corso nel mondo e si rivela, assieme alle altre forme di giornalismo scritto e televisivo, uno strumento essenziale per l’opinione pubblica dei paesi democratici al fine di prendere posizione nei confronti delle guerre in corso. L’idea di documentare fotograficamente la guerra nasce praticamente agli inizi del Novecento, ma è ampiamente riconosciuto che si possa parlare di fotografia di guerra in senso stretto soltanto a partire dalla Guerra Civile spagnola, quando essa è ormai inserita a pieno titolo in un sistema di stampa di massa che ne diffonde le immagini. La prima guerra che venne più fotografata è sicuramente quella del Vietnam, le cui foto sono state talmente importanti, da essere decisive per l’opinione pubblica mondiale che si proclamava contro quel terribile e inutile conflitto. Ed è proprio per questo motivo che la fotografia di guerra riveste un ruolo così importante all’interno del sistema dei media. Ed è sempre per questo motivo che, purtroppo, nelle guerre successive è entrata in gioco la censura e la propaganda. Quest’ultima è intesa come diffusione d’informazioni false o solo parzialmente vere utilizzate da un governo o partito politico per influenzare a proprio favore l’opinione pubblica. La propaganda comprende tra i propri strumenti la censura, che si rende concreta con il divieto di pubblicazione o di accesso al fronte per il reporter. Più spesso interviene una forma di autocensura alla fonte, ottenuta ponendo l’operatore di fronte all’impossibilità di vendere immagini considerate controproducenti o scomode per la causa di chi promuove la propaganda, come successe ai fotografi americani nella prima guerra del Golfo. Il fotoreporter non è un mestiere facile. Sia per il fatto di trovarsi in un paese in guerra. Sia perche questa figura ha su di sé una responsabilità sociale: informare con la fotografia raccontando la guerra da parte delle vittime e dei deboli in modo che le immagini rimangano scolpite nella memoria del pubblico futuro e servano a non commettere gli stessi errori. Basta pensare alla foto della bambina vietnamita che corre nuda bruciata dal napalm, al bambino albino del Biafra fotografato da McCullin, alla Madonna di Algeri di Hocine: alcune delle foto più famose e significative. Tanti sono i fotoreporter famosi. Il più grande di tutti è stato Robert Capa. Egli ha seguito per quasi diciotto anni tutti i maggiori conflitti in varie parti del mondo, cinque per la precisione, fino a quel terribile 25 maggio del ‘54 quando una mina calpestata in una risaia del Vietnam pose fine a soli quaranta anni alla sua breve ma intensa vita di uomo e di giornalista.

Il momento della morte fu scattata da Capa durante la guerra civile in Spagna: da molti è considerata la miglior foto di guerra che sia mai stata fatta. Alcuni sostengono però che sia un falso poiché è impossibile che Capa avesse l’obiettivo puntato sul miliziano proprio nel momento in cui viene colpito a morte. La questione non è mai stata chiarita!

Nelle sue foto troviamo un senso d’intimità e d’immediatezza, di compassione e d’immedesimazione nel dolore e nella sofferenza delle persone ritratte. Aveva l’anima di un vero artista e svolgeva il suo lavoro con intelligenza e passione, con sensibilità e ingegno. Il suo lavoro non è importante solo per la rilevanza degli eventi trattati, ma anche per la sua straordinaria qualità formale che lo colloca al di fuori del tempo e a un livello universale.

8. LA CRISI DEL MESTIERE

Per un curioso paradosso, il fotogiornalismo non è mai stato tanto celebrato quanto lo è oggi, mentre la sua qualità sta toccando i suoi minimi storici. Si è passati da una specie di età dell’oro della fotografia per la stampa negli anni ’60 e ’70 alle immagini clonate, ripetitive e banali di oggi. I motivi di questo degrado sono tanti. C’è chi pensa, come Edgar Roskis, che ciò sia dovuto agli ultimi due decenni di neo-liberismo che hanno fatto perdere alle persone il senso della fotografia di reportage, cioè la coscienza e la morale, a scapito di ragioni più frivole come l’estetica, la posa, il pathos. Secondo il grande Kapuscinski ora i direttori dei giornali non sono più veri giornalisti ma manager che danno priorità agli aspetti economici di vendita e si preoccupano solo di decidere che cosa «far passare» nei notiziari giornalistici o televisivi, piuttosto che nel sapere e comprendere cosa succede nel mondo e informare il pubblico. Sicuramente l’avvento della televisione è stato abbastanza decisivo in tale fenomeno. Questo media, infatti, ha rivoluzionato il nostro rapporto con la fotografia. La Tv ci bombarda continuamente di così tante immagini che ormai il pubblico si è sensibilizzato e ritiene normali delle foto di guerra che magari vent’anni fa potevano sconvolgere il mondo e far cambiare la storia.  Siamo di fronte a una mancanza di valutazione dell’immagine in senso critico e all’incapacità di fermarsi e riflettere sul significato della fotografia. Un altro importante elemento è quello relativo all’avvento delle tecnologie digitali, che ormai hanno soppiantato del tutto le tecnologie tradizionali, provocando mutamenti significativi anche a livello economico. I principali aspetti di questa tema riguardano da una parte la crescente facilità di manipolazione dell’immagine, con i problemi che essa comporta per la credibilità dell’informazione. Dall’altra, si prospettano nuovi scenari dal punto di vista dell’ampliamento delle capacità informative dei media: la versatilità e l’accessibilità dei mezzi potrebbe trasformare potenzialmente chiunque in fotogiornalista. Un fotogiornalismo amatoriale, cioè, in grado di eludere le censure e di portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti che i professionisti non possono documentare.

9.INTERVISTA

Per concludere riporto un’intervista fatta a un fotoreporter, ma anche carissimo amico, che ha svolto numerosi reportage sia in Italia che all’estero in paesi come India, Palestina, Senegal e Sudafrica. Il suo nome è Gianfranco Mura.

  1. Cos’è per te la fotografia?

Posso sembrare banale ma la fotografia rappresenta per me un modo di comunicare ciò che vedo e soprattutto come lo vedo. Girando per tutto il mondo ho visto molte realtà e il modo migliore con cui le posso descrivere è proprio attraverso le mie foto. Ad esempio quando sono andato al G8, ho vissuto particolari momenti e questi momenti potevano essere rappresentati alla perfezione attraverso le immagini, più delle parole. È come se chi vede la foto rivivesse ciò che ho vissuto io.

     2- Quando hai iniziato? Qual è stata la tua prima foto e quella cui sei più affezionato?

Ho iniziato per passione a metà degli anni 80. Qual è stata la mia prima foto sinceramente non ricordo e la foto a cui sono più affezionato è sempre l’ultima che faccio in quanto è quella più viva nei miei ricordi.

  1. Qual è il paese che sei riuscito a esprimere meglio attraverso le immagini?

L’India.

  1. Quanto sei rimasto influenzato da quella cultura?

Abbastanza da tornarci ogni volta che posso. È un paese che mi rilassa nonostante sia piuttosto caotico per certi aspetti e luoghi. Il caos in India fa parte della vegetazione, dal traffico alla burocrazia negli uffici alle code alle biglietterie. Entrare proprio nella cultura indiana non è facile perché è molto complessa. Quello che ti posso dire e che ho molto apprezzato il loro atteggiamento fatalista nei confronti della vita e la loro tendenza a non dare importanza alle cose materiali, la loro abitudine a sorridere, il loro senso dell’umorismo e la loro curiosità quasi infantile. Ma come tu sai in India esiste ancora il sistema delle caste e non è una bella cosa.

  1. Quale ruolo svolgono le immagini per quel che concerne la memoria?

Un ruolo sicuramente vivo nel tempo, nel senso che posso non ricordare il nome di una persona che ho conosciuto ieri, ma ricordo esattamente un viso che magari ho visto e mi ha colpito dieci anni fa. Le foto servono per non dimenticare o comunque aiutano a non farlo. Se riguardo delle immagini che ho scattato in Palestina posso rivivere momento per momento ciò che ho visto e, per quanto non siano dei bei ricordi, non voglio assolutamente dimenticarmi la sofferenza che quelle persone sono costrette a sopportare giorno dopo giorno.

  1. Quanto conta la tecnica e quanto la sensibilità interiore?

La tecnica conta ma s’impara velocemente. La sensibilità interiore credo che bisogna averla a priori ma anche questa è una cosa che si alimenta nel quotidiano quando vieni a contatto con realtà diverse dalla tua. Ci sono situazioni che ti fanno cambiare dentro. La sensibilità è sicuramente molto importante.

  1. Da quando hai iniziato a fare fotografia è cambiato il tuo modo di guardare la vita?

Direi di sì, nel senso che si matura una certa mentalità dell’immagine: vedere con gli occhi in senso fotografico anche senza avere un apparecchio con sé. Quindi mi sento di dire che posso vedere con gli occhi in senso fotografico da quando li apro la mattina. Oltre a questo, come ho già risposto nella domanda precedente, sicuramente la mia interiorità è cambiata. Vedo cose cui prima neanche badavo, ora ho altre priorità, sono diventato più sensibile a ciò che mi circonda e alle cose che contano veramente nella vita. Questo lo devo ai numerosi viaggi e alle tante persone ricche di saggezza che ho incontrato.

Quelle di seguito sono alcune foto di Gianfranco del suo reportage in India.

10.BIBLIOGRAFIA

Barthes R., La camera chiara, Einaudi, Torino 2003

Kapuscinski R., Il cinico non è adatto a fare questo mestiere, a cura di M. Nadotti, Edizioni e/o, Roma 2000

Papuzzi A., Professione giornalista – Tecniche e regole di un mestiere, Donzelli, Roma 2003

Sontag S., Sulla fotografia, Einaudi, 2004

http://www.photographers.it/storia_fotografia/fotogiornalismo1.htm

http://www.photographers.it/storia_fotografia/fotogiornalismo2.htm

http://www.monde-diplomatique.it/ lemonde-archiviogennaio2003

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