Lesbo è un nome che mi fa pensare alla libertà.
Libertà d’essere come si vuole, di amare chi si vuole. Di amare. E forse anche di essere dove si vuole, chissà, dove si ha bisogno.
Lesbo è un’isola della Grecia.
La Grecia mi fa pensare all’estate, al mare, alle vacanze spensierate e disinibite, alle possibilità di quando hai vent’anni e tutto il mondo davanti.
Se sei un occidentale che proviene da una famiglia che si può permettere di mandarti in vacanza in Grecia, s’intende.
Possibilità è la parola chiave.
Possibilità è quello che dovrebbe avere chiunque, su questo pianeta, ma perché questo sia possibile dovremmo privarci di tutto ciò che sarebbe impossibile possedere, eppure lo possediamo lo stesso. C’è uno stridore di doppie esse in questo paragrafo, e forse non è un caso che stia succedendo proprio adesso, qui, nel momento in cui abbiamo mollato gli ormeggi alla barchetta della nostra umanità e l’abbiamo lasciata andare alla deriva.
A farsi fottere.
Perché noi, da questa parte del confine, abbiamo da pensare a un virus del cazzo che boh, forse sarà un po’ più pericoloso del solito – e anche su questo ho qualche dubbio – ma non è niente in confronto alle bombe, alla sete di potere della Russia e della Turchia, alla fuga in mezzo alla neve, e poi in mezzo al mare gonfio dell’inverno, alle botte che ricevi quando stai per varcare un confine che ti potrebbe portare dall’altra parte, al sangue versato proprio sulla soglia della tua salvezza.
C’è chi sopravvive a tutto questo.
Senza amuchina, senza sapone e senza acqua corrente.
E magari avessero almeno un pacco di pasta.

Testo e fotografia di Manlio Ranieri

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