Scritto dal pluripremiato autore svizzero Pedro Lenz, tradotto in italiano da Amalia Urbano e pubblicato in Italia dalla casa editrice Gabriele Capelli Editore, La bella Fanny è un romanzo ironico e introspettivo, che conduce in un viaggio nell’anima e nella mente di Jackpot, l’aspirante scrittore protagonista della narrazione. La vicenda è ambientata in Svizzera, per la precisione nel comune di Olten, paese circondato da un’aura di piattezza e malinconia, dove il tempo appare immobile e la vita sembra svolgersi nella nostalgia del passato. Il libro ruota intorno alla vita interiore di Jackpot, al suo bisogno imprescindibile di trovare un senso alla natura sfuggente dell’amore e dell’arte, e al suo desiderio apparentemente inesaudibile di trovare il suo posto da artista in un mondo frenetico e quasi impossibile da raggiungere.

Jackpot, il cui vero nome è Frank, è uno scrittore alle prime armi, che cerca nella sua quotidianità e nei suoi incontri il filo conduttore del suo romanzo. Avanza quasi in punta di piedi nella cittadina svizzera dove vive, quasi per paura di turbare quella tranquillità e noia che tanto la caratterizza. Le sue giornate trascorrono tra riflessioni e incontri, in particolare con due artisti, Louis e Grunz, due pittori amanti della vita e delle bellezze che essa offre. Le conversazioni con loro, le riflessioni profonde e la profonda esperienza lo conducono per mano alla scoperta e all’amore per l’arte, fino a quando il loro equilibrio, all’apparenza solido, ma in sostanza caduco e precario, viene interrotto dalla comparsa di una vera e propria femme fatale, la bella Fanny: una presenza improvvisa che fa il loro rapporto di amicizia. È l’arrivo di una donna che, a detta di un amico di Jackpot, è portatrice di una maledizione, che si cela dietro la sua aurea angelica e misteriosa. Il passato e i ricordi di una vita trascorsa iniziano a prendere il sopravvento in molti momenti della quotidianità dei tre artisti, attraverso vecchie melodie e il pensiero di aver vissuto il ’68, che fanno da sottofondo a un vero e proprio inno all’amicizia, senza la quale anche l’amore perde significato, perché rappresenta un appiglio sicuro, nel tempo e nello spazio, che non lascia mai precipitare nel baratro che, spesso, la sofferenza per amore apre, lacerante, dentro ognuno di noi.

La scrittura di Lenz è particolare e coinvolgente: alternando i dialoghi con il flusso di coscienza, permette al lettore di lasciarsi trasportare, pagina dopo pagina, dai pensieri di Jackpot, dalla sua inquietudine, dalla sua quotidianità, che, nella loro semplicità, acquisiscono man mano una sorta di straordinarietà. E così, il lettore accompagna questo giovane uomo alla ricerca del suo posto nel mondo, rendendosi partecipe del suo essere “felice di non essere potente e potentemente felice”, ma allo stesso tempo malinconico e disincantato; una ricerca che scorre in una tranquillità apparente, improvvisamente interrotta dall’arrivo di questa giovane donna che, come si evince dall’inizio del romanzo, stravolge in maniera profonda la sua vita, entrandone a far parte in modo prepotente, e coinvolgendolo in un amore devoto, passionale, angoscioso, quasi morboso: una passione che letteralmente brucia la sua lucidità, intossica i suoi pensieri e divora la sua anima. I due anziani amici pittori si rivelano fondamentali in questo momento così delicato, rivestendo un ruolo molto importante: quello della coscienza del giovane, che gli dà la possibilità di ritornare alla realtà nonostante l’irrequietezza giovanile, facendogli capire la dolorosa tangibilità della fugacità dell’amore, così come fugace è anche l’arte.

Siamo di fronte a un romanzo semplice, diretto, ma che, nel prosieguo del racconto, si svela in tutta la sua complessità e profondità; è un romanzo che, parallelamente, riflette anche sull’amore, sulla sua presenza ma anche sulla sua assenza, sul bisogno e la brama di un giovane che attende disperatamente l’inizio di una storia d’amore con una donna stupenda, così come anela angosciosamente all’ispirazione per un incipit degno di questo nome per il suo romanzo.

La bella Fanny, quindi, parla di arte e di amore, di amore per l’arte e dell’arte dell’amore, dando al lettore la possibilità di perdersi in un flusso di coscienza talvolta incomprensibile, talvolta troppo profondo da perdercisi dentro, talvolta così realistico e veritiero da potersi, intimamente, riconoscercisi dentro. Giorgia Colaianni

 

 

 

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