Ho sempre apprezzato Sylvester Stallone, fin da piccolo, a partire dalla saga di Rocky, passando per Rambo, per Cobra, e altri film degli anni ottanta che hanno fatto indubbiamente storia; la storia degli action movies e di tutto ciò che da essi discende. Gli eroi introdotti da Sylvester Stallone sono eroi che a tutta prima potrebbero apparire violenti, superficiali, tutto muscoli e niente cervello, ma non è così. La passione che ho coltivato sin dall’infanzia, passando per l’adolescenza, fino all’apprezzamento della maturità, è fondata su la teoria di un eroe sostanzialmente buono e portatore di valori sani. Over the top (1987) film cult sullo “sport” dello braccio di ferro, è una commovente storia di insuccessi (e successi, soprattutto quello finale) di un padre di famiglia, che per errori umani imputabili a chiunque, viene allontanato dalla moglie e il figlio, cadetto militare, a malapena sa dell’esistenza di quest ultimo, che è sempre suo padre. Primo esempio, pienamente 80’s con la stupenda colonna sonora “meet me half way” (Kenny Loggins) che fa sfondo alle vicende colorite di un decennio ormai troppo lontano da noi, di eroe buono e significativo. Umano come tutti, quindi fallibile e imperfetto, si misura con l’abilità di essere padre, di un figlio che al primo incontro gli chiede addirittura la carta di identità. Riuscirà lentamente ad acquistare la fiducia del figlio, introducendolo nel suo mondo, lontano dalla perfezione delle caserme militari. Come prima cosa lo fa salire sul camion e dopo alcuni silenzi imbarazzanti, si sente dire che nel suo camion non ci sono libri, quindi egli è un illetterato ignorante; il padre (Lincoln Hawk nel film) gli dice allora che la sua saccenza non gli permetterà di superare un esame ben più impegnativo: guidare il camion. Il camion, non è un macchina semplice da condurre, è complesso, come lo è il mondo del figlio cadetto. L’essere semplice del padre non corrisponde poi alla realtà che lui affronta ogni giorno: la realtà del sacrificio, della sopravvivenza, della solitudine, del dover fare tutto da sé. Il figlio (Mike) riesce ad entrare nel mondo del padre, e riesce anche a fare una cosa che gli pareva difficile: sorridere. Il padre è deciso a forgiare il figlio per una nuova vita, magari più interessante e meno impostata di quella del collegio militare. Lo fa partecipe dei suoi esercizi fisici, e lo pone dinnanzi a personaggi che nella sua vita collegiale difficilmente potrà avere dinnanzi, sono personaggi di strada. Ragazzacci che in un autogrill giocano la fortuna al flipper. Il padre propone un  incontro di braccio di ferro, ma Mike ne esce perdente. Da qui le lacrime e il senso di impotenza oltre che di stupidità. Ma Hawk ha previsto tutto, riprende il figlio nel parcheggio dell’autogrill, e gli fa una bella lezione di vita: bisogna combattere se si vuole restare a galla, e se si è convinti di farcela, il corpo e lo spirito si muovono nella stessa direzione. Mike vince il mini-incontro di braccio di ferro e il suo umore è alle stelle. Il film termina con la vittoria di Hawk ad un torneo di braccio di ferro, dove il figlio era giunto scappando di casa. La vittoria inaspettata di Hawk, fondata su una scommessa rischiosissima e con basse probabilità di riuscita, suggella il rapporto tra padre e figlio, che adesso sono realmente tali e vivono con il nuovo camion vinto al concorso.

Il cinema di Sylvester Stallone, checché ne dicano i più ortodossi, è un cinema sano, non violento davvero, gli sport di cui parla (il pugilato soprattutto) sono solo un medium per esprimere contenuti alla portata di tutti, e che tutti si sono appassionati ad essi. Ad esempio in Rocky, il pugilato è soltanto un palcoscenico per esprimere valori universali come: passione, impegno, sacrificio, determinazione, lealtà, forza d’animo. Come più volte detto Talia Shire in alcune interviste “rocky è una storia d’amore”. Tutto il comportamento del pugile altro non è che un atto d’amore per la sua Adriana. Per i cultori del genere, Rocky è una miniera di frasi da ricordare, immagini, situazioni. Sono film che hanno fatto la storia del cinema, e soprattutto il cinema degli eroi buoni, con il cuore, non solo i muscoli.

Giovanni Sacchitelli

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