E’ opinione diffusa nel comune pensare che le lauree ad indirizzo umanistico non abbiano nulla a che spartire con il formalismo in generale e più in particolare con quello matematico; da qui la loro inutilità o la loro declassazione a titoli di meno pregnanza lavorativa, meno performanti. Paradossale in un paese come l’Italia in cui la riforma gentiliana (Giovanni Gentile) permetteva solo a chi aveva fatto il liceo classico (da qui la superiorità del sapere umanistico) di fare facoltà come giurisprudenza, che da un punto di vista lavorativo adesso sono considerate molto abilitanti, soprattutto per quanto riguarda l’accesso ai concorsi statali più diffusi. Insieme ad economia, giurisprudenza resta il core business dell’orientamento post-scuola secondaria, nonostante il grande numero di avvocati e di economisti. I saperi che servono sono quelli giurisprudenziali e quantitativi, oltre al sacro graal del titolo di ingegnere. Per chi vive quotidianamente il mondo dell’utilità avere dei titoli in storia, lettere, filosofia, storia dell’arte risulta nebbioso e di scarsa applicabilità sul mercato del lavoro. Superfluo dire che chi emette giudizi di questo tipo ha poca conoscenza della materia, magari limitata alle ore di lettere del liceo, ne ha quindi una conoscenza marginale; sicuramente troppo bassa per emettere giudizi di valore. Per chi ha intrapreso studi umanistici per passione, come giusto che sia, lo sguardo savio e diffidente degli orientatori al lavoro è un duro attacco da subire ogni giorno, e da cui talvolta risulta complicato districarsi a causa, come dicevo sopra, della mancanza di tatto di chi ci deve immettere nel mercato del lavoro. Sono gli orientatori i primi che dovrebbero conoscere cosa si studia in un programma triennale e biennale di un corso di laurea umanistico (storia, filosofia, lettere, storia dell’arte), invece non ne hanno coscienza e questa scarsa cognizione di causa è aggravata dal pregiudizio delle lauree facili che non insegnano a fare niente. Si potrebbero fare moltissime considerazioni sull’argomento, da svariati tagli di ricerca e interpretazione, ma sarebbe un po’ tempo perso perché chi esamina il nostro iter di studi resta comunque limitato nel suo medioevo di senso, che scarsamente lo aiuta a leggere le trame dei nostri discorsi. Studiare materie umanistiche non è inutile, anzi è il fondamento del nostro esseri civili e dello stare insieme. Poi, a seguire, non è assolutamente detto che chi ha studiato materie umanistiche non abbia coscienza di cosa sia il formalismo, il ragionamento argomentativo, la deduzione, la matematica. La filosofia è la base di tutti i saperi, è più vicina alla matematica dell’economia, Aristotele ha formalizzato il pensiero nella logica formale (che è alla base della matematica), la letteratura coglie i nodi del cuore umano e li descrive con abiti poetici da fare invidia ad altre discipline. Ma queste conoscenze, spesso, si colgono soltanto negli ambienti dedicati delle Università (ma anche dal Liceo si può capire se si è attenti a quello che si ha davanti) e chi giudica le scelte degli umanisti ne è completamente allo scuro. Ma chi è addetto all’orientamento è alla base della crescita civile della società e non può considerare un laureato in materie letterarie o filosofiche un completo inetto in materie di scienza!  La conoscenza della lingua italiana, l’esposizione dei contenuti, la grammatica, sono cose che non insegna l’economia o l’ingegneria, inoltre una popolazione che possiede le regole del giusto parlare, penserà anche in maniera adeguata e pulita. Conoscere la storia crea senso critico sugli eventi attuali, conoscere la filosofia abitua la mente al pensiero argomentativo, conoscere la storia dell’arte educa il nostro sguardo alla bellezza e migliora notevolmente l’umore.

Giovanni Sacchitelli

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