Fletcher Reede è uno stimato avvocato che non ha mai detto la verità, così facendo ottiene i suoi maggiori successi nel suo ambito professionale, purtroppo soltanto qui. Padre di un ragazzino (Max) e ex marito di Audrey dalla quale ha divorziato proprio per le sue carenze,  non riesce ad essere presente abbastanza come padre, per questo inventa bugie e false promesse di cui è vittima il povero figlioletto. La menzogna lo rende vincente nelle cause giudiziarie  dove è abilità del retore cercare di tirare acqua al proprio mulino dicendo cose che non si pensano realmente. Qui troviamo la prima sezione: il lavoro. Nell’ambito professionale,  Fletcher indossa una maschera di convenienza, che risulta inadatta agli ambienti più morbidi e sentimentali della seconda sezione: il privato. La grande abilità con la quale Liar Liar (titolo in inglese del film) riesce ad accattivarsi i giudici o potenziali clienti risulta incompatibile con la sfera del privato in cui è necessario essere se stessi, manifestare i propri sentimenti. In maniera diretta, delicata, giocosa se si tratta di un figlio piccolo. Ma l’uomo in carriera non sembra badare a questi problemi da poco, che lui stesso dà di facile entità, rispetto alle cause da vincere in tribunale. La sua corsa affanna verso la celebrità e la stima come avvocato, va incontro ad una brusca frenata con un episodio inaspettato. Fletcher  promette al figlio di essere presente alla festa di compleanno, promessa tuttavia non mantenuta. Max allora pensa di punirlo simbolicamente per questa sua mancanza di attenzione, che gli ha già valso la rottura con la ex moglie (Audrey) che ora è con un nuovo compagno ed ha intenzione di sposarlo. Jerry è un uomo responsabile, che dimostra cura per Audrey, anche se Max non lo apprezza molto. Max conserva la sua simpatia per Fletcher, ma adesso è veramente giunto all’esagerazione.

Max decide di punire il padre facendo in modo che egli per ventiquattro ore dica solo e soltanto la verità, desiderio esaudito, punizione esemplare per il padre farfallone. Inizia una serie di sfortunati eventi per il protagonista, ora alle prese con la voce più autentica della coscienza, ora è fatta parlare liberamente senza alcun medium di buon senso. Avviene la rottura tra le due sezioni che ho enunciato sopra: 1) lavoro 2) sfera del privato. Queste due sezioni  hanno una propria lingua, adesso questa dicotomia viene elisa e non resta che il protagonista davanti alla sua falsità. Una causa in tribunale va a rotoli perché Fletcher dicendo solo e soltanto la verità espone al giudice l’indifendibilità di una sua assistita, come se difenderla fosse di per sé un atto di imbroglio. Non riesce nemmeno a dire che una penna pur essendo blu è rossa. Anche le più piccole bugie sono impossibili, come quando la mattina diceva di non avere spiccioli ad un mendicante, ed ora alla richiesta di quest ultimo dice la verità: ne ha le tasche piene. Cerca allora di riparare al danno, inseguendo il figlio Max, Audrey e il futuro marito mentre sono in partenza con una aereo per Boston. Nel tentativo di fermare l’aereo Fletcher si infortuna, e i tre scendono per prestagli soccorso. Finalmente Fletcher dichiara quanto vuole bene al figlio, e gli promette di non mentirgli più. Audrey, viste le circostanze e il cambiamento chiaramente visibile del padre, decide di tornare con Fletcher. I tre vivono nuovamente insieme. Un anno dopo per il sesto compleanno la famiglia si ritrova, con Fletcher presente questa volta, per festeggiare Max. Lieto fine, come tutti i film veramente significativi. Uscito nel 1997 è un film nel tipico stile della comicità introspettiva di Jim Carrey, incorniciata in una fotografia tipicamente anni novanta per la direzione di Russell Boyd. Divertente, delicato, pulito, come tutti i film degli anni novanta.

Giovanni Sacchitelli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*