Rousseau è il pensatore del bon savage, teorico della bontà naturale dell’uomo alla quale si antepone la sua cattiveria della vita civile; la vita associata e i suoi abitanti rendono l’uomo diverso da come è naturalmente, nasce la competizione, il bisogno di affermarsi, la volontà di accumulare capitali. Tutto ciò, in una società pre-capitalistica non ha ragione di esistere giacché il modus vivendi agreste non crea degli spiriti cattivi (dal latino captivus, che vuol dire prigioniero). Bachtin, ad esempio fa una distinzione netta tra uomo agreste e uomo della società industriale, ravvisando questa distinzione d’essenza nel fatto che il primo è tutto all’esterno, ovvero non c’è una divisione tra coscienza privata e pubblica (oggi diremmo senza sovrastrutture) e l’uomo capitalistico nel quale avviene la suddivisione interna tra ciò che si dà e ciò che è celato agli occhi altrui. Perché nascondere? Questione di strategia, per portare avanti i suoi piani e imbrogliare l’altro. La vita all’aria aperta, che Edgar Poe inserisce tra le condizioni della felicità, permette allo spirito di ricongiungersi romanticamente con la natura, uno-tutto. Perché allora la vita pre-capitalistica dovrebbe essere il luogo della vera felicità?

[…]In cosa consisteva dunque questa felicità e il suo godimento? Lo do a indovinare a tutti gli uomini di questo secolo in base alla descrizione della vita che vi conducevo. Il prezioso far niente fu la prima e la principale di quelle gioie che ho voluto assaporare in tutta la loro dolcezza, e tutto quel che feci durante il mio soggiorno non fu altro se non l’occupazione deliziosa e necessaria di un uomo votatosi all’ozio.[…]

[…]Trasportato lì, all’improvviso, solo e spoglio, vi feci venire successivamente la governante, i miei libri ed il mio piccolo bagaglio, di cui ebbi il piacere di non tirar fuori nulla, lasciando casse e bauli così com’erano arrivati, vivendo nella casa in cui contavo di finire i miei giorni come in una locanda da cui sarei dovuto partire il giorno seguente. Tutto, così com’era, stava così bene che volerlo ordinare meglio significava rovinare qualcosa. Una delle mie più grandi delizie era soprattutto quella di lasciare i libri ben imballati e di non avere neanche il necessario per scrivere. Quando una qualche dannata lettera mi obbligava a prendere la penna in mano per rispondere, brontolando prendevo in prestito il calamaio del fattore e mi affrettavo a renderglielo, nella vana speranza di non aver più bisogno di farmelo imprestare una seconda volta. Al posto di queste tristi scartoffie e di tutto questo mucchio di vecchi libri, mi riempivo la camera di fiori e di erbe[…]

[…]L’esercizio fatto durante la mattinata ed il buon umore che ne è inseparabile mi rendevano estremamente piacevole la pausa del pranzo; se però questo si prolungava troppo ed il bel tempo mi invitava, non potevo attendere tanto a lungo e mentre eravamo ancora a tavola sgusciavo via e saltavo, solo, su una barca che conducevo in mezzo al lago quando l’acqua era calma. Là, allungatomi tutto, gli occhi volti al cielo, mi lasciavo andare lentamente alla deriva, in balía delle onde, a volte per parecchie ore, immerso in mille fantasticherie confuse ma deliziose che senza avere alcun oggetto determinato o costante mi risultavano mille volte più gradite di tutto quel che di più dolce avevo trovato in quelli che si chiamano i piaceri della vita[…]

[…]Di cosa si gioisce in una simile situazione? Di nulla di esteriore a sé, di niente se non di sé stessi e della propria esistenza; fin tanto che dura questo stato si è sufficienti a sé stessi come lo è Dio.[…]

[…] Liberato da tutte le passioni terrene generate dal tumulto della vita sociale, il mio animo si librerebbe sovente oltre questa atmosfera e intraprenderebbe anzitempo relazioni con le intelligenze celesti di cui spera d’andare ad aumentare il numero entro breve tempo.[…]

Rousseau, le fantasticherie del passeggiatore solitario, 1782

Nel  1765, infatti il filosofo ginevrino trascorse alcune settimane sull’isola di Saint Pierre, e il contenuto della quinta passeggiata, ci dà alcune linee guida sul benessere della vita selvaggia; l’assenza dei normali strumenti di lavoro, la tranquillità, l’unione romantica con la natura. A differenza di Robinson Crusoe che introduce per sopravvivere metodi e strumenti sociali, la vera felicità è vivere l’estasi, ammirando la perfezione del creato:

Non vi è nulla di più singolare dei rapimenti, delle estasi che provavo nell’osservare la struttura e l’organizzazione vegetale, il ruolo delle parti sessuali nella fruttificazione, il cui funzionamento era cosa per me completamente nuova. Mi incantava la distinzione dei caratteri generici di cui prima non avevo la benché minima idea, li verificavo sulle specie comuni nell’attesa che mi si presentassero specie più rare. (ibidem)

La natura non può che essere buona, l’uomo prigioniero della società funzionale, è alieno da se stesso, la bruttezza morale lo coglie nel vivo. Da dove ha origine la disuguaglianza sociale?

Il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire: Questo è mio, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, assassini, quante miserie ed orrori avrebbe risparmiato al ge­nere umano colui che, strappando i paletti o colmando il fos­sato, avesse gridato ai suoi simili: Guardatevi dall’ascoltare quest’impostore; siete perduti, se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno

[Jean-Jacques Rousseau, Sull’origine dell’ineguaglianza]

 in compenso fu più facile unirsi per resistere ad esse in comune. […] Le cose in questo stato avrebbero potuto restare eguali, se le capacità fossero state eguali, e, per esempio, l’impiego del ferro e il consumo delle derrate si fossero sempre bilanciati esattamente; ma l’equilibrio, che niente manteneva, si ruppe ben presto; il più forte produceva di più; il più abile ricavava maggior profitto dalla sua opera; il più ingegnoso trovava dei mezzi per abbreviare il lavoro; il contadino aveva maggior bisogno di ferro o il fabbro maggior bisogno di pane; e lavo­rando in egual misura, uno guadagnava molto, mentre l’altro stentava a vivere. È così che la ineguaglianza naturale si estende insensibilmente accanto a quella derivante dal caso, e le diffe­renze tra gli uomini, sviluppate da quelle delle circostanze, diventano più sensibili, hanno effetti più stabili e cominciano a influenzare nella stessa proporzione la sorte degli individui. [ibidem]

Come leggiamo da questi classici, il lavoro rende diversi. Nasce il padrone e il servo (il gruppo dominante, come è stato definito in Amicizia e competizione). Uno dei due diventa insoddisfatto, quindi cattivo. Non vogliamo essere più cattivi? Riscopriamo il contatto autentico con la nostra madre, natura.

 Giovanni Sacchitelli

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