In prossimità di siti di interesse storico, la nostra anima si ritrova incagliata in mondi paralleli tra loro intersecanti, che danno danno vita ad un paradosso semantico, morale, oltre che fisico; i resti di civiltà lontanissime, spesso dislocati in apposite aree archeologiche (parchi)  o nel centro storico, ci guardano un po’ perplessi come se volessero chiederci la nostra identità. Ciò accade perché le nostre città, o comunque qualsiasi civiltà moderna che abbia radici anche non lontanissime, sono il risultato del lavoro e dei progressi di chi le ha gentilmente precedute e invogliate al progresso ulteriore. Un luogo che contenga parti di una civiltà passata è come un aggregato di parti diseguali, come fu il moderno prometeo inventato da Mary Shelley, Frankenstein. Le parti che lo compongono, come l’insieme di elementi umani per Frankenstein, sono in comunicazione tra loro in maniera artificiosa e spesso innaturale. Mi spiego. Le fortezze medioevali  italiane (Roccasecca, Castel dell’Ovo, Castello Svevo di Trani, Fortezza Sforzesca, Castello Svevo di Barletta) o le cattedrali imponenti come quella di Chartres (primo esempio gotico europeo), soprattutto in virtù della loro veste architettonica definita, ci chiedono di ascoltarle e di farle riposare in pace. Gli Etruschi prima dei Romani, i Medicei a Firenze, Federico II dentro la residenza ottagonale di Andria, tutto ciò che appartiene al già stato, dovrebbe restare tale e non entrare in contatto con ciò che è. L’architettura gotica (“I believe that the charateristic or moral elements of ghotic are the following […] 1) savegeness 2) changefulness 3) naturalism 4) grotesqueness 5) rigidity 6) redundance” The Nature of Gothic, John Ruskin) pensò le sue cattedrali  luminose, con grandi vetrate, slanciate verso il cielo, sfidando le normali leggi della statica; ciò era nell’alto medioevo segno di riconciliazione e contatto con il divino.  La chiesa del vaticano, La Basilica di San Pietro (terminata nel 1626) con le sue forme barocche, è incastonata in un modello di civiltà moderna che non le appartiene.  La filosofia del monumento è il rapporto tra ciò è stato con il suo valore storico-teoretico e la modernità. Ogni singola pietra dei monumenti storici (come le famose pietre di Venezia cfr. Ruksin, le pietre di venezia, 1853) è un risultato preciso di somme di pensiero appartenenti a epoche diverse. Il pensiero rinascimentale che voleva un’idea di uomo totale, sia nel corpo sia nello spirito, aveva dato filosofie specifiche, teorie dell’arte rinascimentali e come ultimo risultato architetture ben definite teoreticamente. Passeggiando per Firenze tocchiamo con mano qualcosa di infinitamente distante, i discorsi neo-platonici (i pensieri neo-platonici del Botticelli e delle sue Primavera e Nascita di Venere), i rapporti di mecenatismo, i mercati, gli scambi in denaro. E’ evidente che ciò non è più, la storicità è coperta dai lumi della modernità. I pensieri e le teorie passate rinascimentali o medioevali, ci stanno a poche spanne di distanza e non non possiamo comprenderli a pieno. L’arte non è contemporanea. Il tentativo di unione con il moderno crea quel sinallagma di cui sopra: vecchio-nuovo. Dico sinallagma (in greco “accordo”, “contratto”) perché ciò che è stato ignorato per anni (ad esempio con un ritrovamento archeologico, pensiamo a Pompei, rinvenuta nel 1748, e la sua distruzione risale al 79 d.C.) viene unito indissolubilmente con il nuovo. I concetti di rivalutazione o ristrutturazione  sono esempi di quel sinallagma impossibile che solo una filosofia dell’architettura può evidenziare. La conservazione dei beni culturali e il raggruppamento degli oggetti di importanza storica nei musei, sono un evidente tentativo di sinallagma tra vecchio-nuovo; I risultati più forti della società moderna, come il nichilismo e la tendenza alla distruzione (e all’auto-distruzione) rendono questa unione ancora più problematica. Ne sono un esempio il ridere delle opere d’arte in generale. L’atteggiamento postmoderno di credere che un quadro possa essere una fotografia esatta di uno stato di cose, lo rende ridicolo, osceno, inutile. Lo stesso procedimento si applica al monumento storico. Il moderno che è andato oltre i fini ultimi del decoro e del buon senso (che le civiltà passate avevano raggiunto dopo secoli di lotte e sviluppo) rifiuta istintivamente ciò che è stato, anche se cerca apparentemente di salvarlo. Siamo così diversi da chi ci ha preceduto che non abbiamo nemmeno la dignità di guardarli in faccia, anche se si tratta di un dipinto. I racconti di Voltaire e il suo Candide, è noto a tutti per la sua critica al migliore dei mondi possibili di Leibniz, nessuno però ha vissuto il violento terremoto che ha scosso Lisbona (1755), per quanto originale possa sembrare, non fu un bel avvenimento.

Giovanni Sacchitelli

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