Tu mi hai detto di incollare la pallina da golf sul coperchio senza manico, quando io volevo buttarlo.

Le parole mi restavano in gola e tu mi hai detto di scriverle. Se le finivo o non trovavo quelle giuste mi mettevi in mano i colori, la carta per origami o il legno d’abete.

Tu mi hai fatto ricordare come si sfila lo stelo dell’avena fatua per farci la zampogna e la brocca con l’uccellino, quando mi mancavano i nonni.

Avevo rovesciato un vassoio di bicchieri e tu mi hai costretta a continuare a servire i tavoli, nonostante le lacrime, i vetri e le offese.

Tu hai fatto scoprire al mio regno d’occhi il senso cinestetico, il piacere di toccare le cose, la plastilina, l’epidermide…tutto ciò che guardavo da lontano tu mi hai permesso di accarezzarlo.

Avevo paura del mostro con la testa di seppia, lo sentivo muoversi sotto il pavimento vestito da sposo. Tutti mi dicevano che non esiste, solo tu mi hai detto che è vero, ma che io sono più forte: se avesse potuto davvero farmi del male non si sarebbe nascosto. E io sarei finita nel pavimento con lui, le palline e il trapano del vicino. Invece restavo nella coperta viola per tutta la notte.

Tu mi hai fatto notare quel finto quadro di Kandinsky nella seconda stanza a sinistra del corridoio con le ventole, quando io mi sedevo con le pazienti sulle sedie di ferro e i pugni stretti.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Ho fatto milioni di errori che hanno generato miliardi di colpe: tu mi hai dato la forza di perdonarmi. E così ho imparato a perdonare gli altri. Tutti non ancora, ma so che mi aiuterai.

Tu mi hai fermata quando stavo per uccidere certe persone: sei entrata in loro e mi sono vergognata per aver pensato che fossi solo mia.

E se il mio cuore è al Polo Nord tu ci hai fatto arrivare la pulcinella di mare, con la sua mascherina buffa e i mille modi di amare.

Tu mi hai fatto capire che dietro Emma Bovary c’è Gustave Flaubert, quando io sognavo come lei i grandi amori dei libri e come lei morivo d’arsenico e sogni frustrati.

Ho guardato quel corpo morente sul cemento, il maglioncino rosso scoperto sul fianco, la voragine vomitante in testa e tu mi hai scolpito dentro l’immagine di una ragazzina con lo zaino spiovente su una spalla sola che cammina obliqua con i libri al petto.

Tu mi hai fatto resistere fino all’alba quando avevo paura del buio e c’era il black-out.

Se sbagliavo compagnie, mi ferivano o perdevo qualcuno e allungavo le mani verso il vuoto dei perché, tu sorridevi parlando di kintsugi, esperienze e cicatrici.

Tu mi hai aiutato a scegliere nei labirinti, resistere alla gravità, condividere ciò che è mio senza la pretesa che somigli a ciò che è di qualcun altro, quando io mi sono smarrita, incurvata e ho avuto la superbia di conoscere il bene e il male e dare sempre le risposte giuste.

Grazie degli schiaffi, delle carezze, del silenzio e delle parole. Grazie di aver distrutto la diga per farmi ritrovare il fiume che scorre.

E se nel mosaico di una personalità in divenire, io vivo in un pezzetto…

…tu sei la parte migliore di me.

Delia Cardinale

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