Era avvolto dalla solita cupidigia, la sua salute non ne voleva sapere di migliorare.  Aveva un buco al centro del petto. Era passato poco tempo ma ad ogni passo sembrava sprofondare.

Ogni giorno apriva un cofanetto in legno di rovere dalla superficie lucida, ricolmo di lettere. Gli sembrava di sentire il suo profumo ogni volta, quella sudaticcia malinconia sembrava l’avesse attaccata sul francobollo. Le accarezzava, le coccolava, la carta ingiallita portava il sapore di mille luoghi lontani, Amsterdam, Islaeworth, Dordrecht, Bruxelles; ogni volta si perdeva fra quelle parole e gli pareva di poter vedere con i suoi occhi un cielo meno metallico di quello dove era cresciuto.

La sua lettera preferita era quella scrittagli poco dopo essersi trasferito ad Arles, il cuore stracolmo di ossigeno, le vie colorate, i circoli artistici, le prostitute ammiccanti, una scalpitante energia dagli zoccoli accesi lievitava fra quei scarabocchi abbozzati. Quanto lo adorava, aveva provato ad odiarlo, a considerarlo un fannullone, come il resto della sua adorabile famiglia, ma ahimè non vi era mai riuscito. Ogni sera guardava il cielo, ammirava le stelle una ad una e sapeva che in qualche locanda di malaffare vi era lui, con i suoi occhi che sapevano di cenere, di disperazione viva come quelle cose perdute e dimenticate in un angolo, che aspettano solo di essere ritrovate, a leggere i suoi inseparabili libri e a tingere le tele dei colori della vita.

Non aveva mai visto una notte come quella e poteva solo ringraziare lui, suo fratello, un fratello maledetto, pazzo, psicopatico, buono a nulla, fannullone, di essere il testimone di quei piccoli miracoli impressi su carta e a lui pareva normale pagare le tele, i colori e tutto il resto, era un po’ come pagare il biglietto per una prima imperdibile.

Lui lo sapeva, suo fratello non era pazzo, né tanto meno maledetto, era un piccolo uccello variopinto di rara bellezza, troppo fragile per restare in gabbia. Una piccola lacrima scese pungente come uno spillo su quella lettera, l’inchiostro sbiadito, ma ancora la sua calligrafia intatta, come in ogni lettera terminava:

“Tuo Vincent”

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