Ho riscoperto Kate Bush dopo anni, dal momento in cui ne ebbi conoscenza per via degli interessi musicali di una mia vecchia amica, ed ho avuto come l’impressione di essermi perso molto, questo accade quando la conoscenza di qualcosa è limitata ad un solo angolo prospettico e facciamo involontariamente, cedendo alle lusinghe della mente, una proiezione dell’intera figura, sbagliando. Parlo di otto anni fa, mi fece vedere qualche foto, tutte anni settanta, mi piacquero discretamente perché trovavo quella figura chiaramente figlia dei fiori (anche se Kate non lo sarà mai pienamente, in The Kick Inside, la figura con la quale Kate ama presentarsi in pubblico, ovvero un Kimono aperto sul seno, che lascia vedere qualcosa, o ancora i fiori dappertutto su un rosso libertino non dicono niente, l’album non è propriamente rock o di rottura come potrebbe essere la figura di Robert Plant, Kate è più vicina al Bowie prima maniera, quindi più folk) un po’ trasandata e arruffona, i capelli a balconcino sulla fronte, gli occhi un po’ pigri, una stranezza distribuita su tutta l’apparenza esterna che si evinceva chiaramente da una foto con una tigre finta con la bocca aperta  e con un’altra (più avanti avrei l’avrei identificata con un elemento della serie prodotta da Claude Vanheye  – che vedeva la mia amica e non Kate, a spasso con una papera finta; mi disse che voleva imitare Kate Bush nella foto con il coccodrillo gonfiabile, quella appunto fatta da Claude Vanheye, tutto ciò era molto weird 

E weird è un tratto caratterizzante l’arte di Kate, ‘We let the weirdness in’  citando un verso di  ‘leave it open’ tratto dall’interessante ‘The Dreaming’ del 1982.
Otto anni fa non avevo ascoltato niente di Kate Bush, me ne feci un’idea parallella rispetto a quella della personalità della mia amica e immaginai che oltre che nell’aspetto, di fatti era molto simile alla bellezza felina di Kate, anche il carattere doveva essere quantomeno un calco di quello originale di Kate; Kate era dunque molto bella, ‘strana’, colta nel senso letterario come fu il suo primo successo tratto dal soggetto di Emily Bronte, Wuthering Heights, anticonformista, come confermato dalle foto con la tigre finta o portando a spasso un coccodrillo, sicuramente immersa nel clima musicale sin dall’infanzia, artistica, eterea e piuttosto ingenua. Negli anni tra il primo contatto con la regina del pop inglese e la successiva scoperta reale, con il mio sconfinato approfondimento e musicale e biografico, è stato Bowie e svariati altri gruppi elettronici ad aprirmi la strada alla reale comprensione di Kate, una figura assolutamente unica nella storia della musica. Bowie ha rappresentato per me la scoperta dell’arte fine coniugata al suono, quando le opere d’arte (specie espressioniste) acquistano vita propria e camminano al fianco dei componenti di una banda illustrando loro che non è il rock and roll con la sua rotondità a portare a spasso l’estetica, ma è invece il glam, ma più specificamente la musica elettronica (penso senza dubbi alla trilogia berlinese) a rendere la musica un’arte fine; tutti quei cantanti colorati come Bowie, Elton John (entrambi amati da Kate, Elton John, posizionato nella stanza di Kate e spunto per due cover dei primi anni ottanta, Rocket man e Candle in the wind) o la storia elettronica degli anni ottanta con i The Cure, Simple Minds e vari, hanno unito nei loro costumi, la musica al teatro, l’espressività dell’attore (penso a Bowie soprattutto, discepolo di Lindsay Kemp, come del resto la stessa Kate) ad una musica fine, orecchiabile, perfetta.
Kate dice di Bowie, come una creatura intelligente, innovativo, ‘crazy’ e ovviamente ‘beautiful’, di fatti c’è del Bowie in Kate, come nel primo album che ricorda le grancasse rotonde del primo bowie, e nella Kate più matura di ‘The Dreaming’, un album molto interessante a partire dalla copertina raffigurante un’affascinate kate in tenuta cotonata pieni anni novanta, che volta lo sguardo dall’altra parte davanti ad un uomo avvolto da una catena, lei ha una minuscola chiave sulla lingua, riferimento al maestro dell’illusionism ‘Houdini’ il nome di una canzone dell’album, ma anche riferimento all’amore come risposta alle prigioni degli our places (cfr. il testo e la storia di “Runnin up that hill” – ). C’è Bowie, e aver amato profondamente il duca bianco e come una raccomandazione per entrare nel mondo fatato di Kate, soprattutto, come dicevo poc’anzi, nell’arte teatrale dello spettacolo-concerto; nel primo tour (The tour of life) del 1978, penso alla data dell’Hammersmith Apollo Oden, concerto che dura soltanto cinquanta minuti (Kate è una creatura fragile, come tutti i fiori rari nella storia dell’arte, non avrebbe potuto sopportare di più, i concerti sono “a very stress”, così come tutto il “promoting”, Kate fa uscire un album dopo periodi in cui non fa date ed è immersa totalmente nel suo lavoro di composizione, concedendosi rare apparizioni pubbliche; è una star molto riservata, non ama parlare molto di sé, protegge, giustamente la sua privacy, e preferisce lavorare anzichè perdere tempo a promuovere o parlare di cose ormai vecchie, ogni album è una storia a sé, rappresenta un’evoluzione sempre cangiante in direzioni tutte da definirsi vita natural durante) nel tour of life Kate parla di vari argomenti in scena. Il palcoscenico è il terreno della mimica (allieva di Lindsay Kemp – omaggiato in ‘Moving’ – the kick inside 1978), della danza (ancora Lindasay Kemp e la storia educativa di Kate stessa, prende lezioni di danza sin da piccola accompagnate a quelle per pianoforte, davanti alla tv balla istintivamente imitando le figure nel tubo catodico, appena qualcuno entra in stanza smette, è molto timida, in un’intervista dice di scrivere storie e canzoni da quando aveva dieci anni ma che ‘mai’ avrebbe avuto coraggio di declamarle in pubblico, non sarebbe stato ‘professionale’, questo ci dice molto sulla sua unicità e sulla sua genuina ingenuità) del canto angelico ed elevatissimo (tant’è che si preoccupa che periodicamente il suo maestro di canto, tra i svariati maestri che frequenta, controlli perché la sua voce non si estenda troppo) un gioco virtuoso di discese e salite frammisto a versi di bambina capricciosa come si vede bene nel primo album, The Kick inside, e la Kate del Kent ripresa nell’album fotografico del fratello J. (Cathy 1986) è la stessa anche a 20 o poco prima quando esce il singolo della storia della musica, Wuthering Heights, ancora nel ‘Tour of life’ possiamo ritrovare i colori espressionisti come il blu o le luci tenui la semantica fine dei testi, l’ironia di Kate, il suo carattere che si nutre di opposti, aumentano il mistero nei suoi confronti.
Dopo aver apprezzato il Bowie della trilogia di Berlino, e quello precendente del glam e del folk ho capito che Kate univa in sè tutto ciò che un’artista che si voglia definire tale deve avere in sè – Kate Bush rappresenta la sintesi di tutte le parti scisse dall’arte, dunque del teatro, della musica ricercata, delle sperimentazioni elettroniche che saranno possibili grazie all’entrata del Fairlight CMI nella musica mondiale, della poesia vera e propria, del tema dell’amore che insieme a quello della morte deve essere tipico dell’arte in generale; Kate è di bellissimo aspetto, è intelligente, è diretta, è spontanea, tienè in sè quell’aspetto puro dell’infanzia anche quando i tempi sono maturi ancora nel 1993 in The Red Shoes, nella lirica di “And So is love” si parla di ciò che conta davvero “What really matters?  oppure “baby live your life for love” sono parole che solo una donna che è “d’acciaio dentro” (questa definizione ispirò il titolo di un’affascinante raccolta fotografica a cura del fotografo musicale Guido Harari, The Kate inside 1982-1993, titolo significativo che dice molto riguardo alla natura all’apparenza dolce e posata ma che ha dentro un nucleo forte e determinato; l’essenza pura, disinteressata poi a ciò che l’amore ha come piega necessaria, ovvero l’unione materiale, in una riga del testament of youth si legge ‘a differenza delle mie amiche le relazioni erano anche spirituali e non solo sessuali’, resta invariata a ciò che il tempo potrebbe cambiare. Kate è un infante cosciente della propria infanzia incorreggibile ma che guarda tutto dal faro alto della visione matura vera e propria, ovvero, sempre citando l’articolo del flexipop del 1982, si è sempre sentita più grande degli altri sin dalla primary school  poi il culmine lo si raggiunge nella scuola secondaria ( nel testament of youth si legge ‘ero solitaria, ero oggetto di scherno e anche dopo la scuola ci furono momenti in cui la solitudine divenne disperata’) fino all’abbandono della scuola e all’inserimento a pieno nel clima musicale (‘Remembering the streets of a rush-hour London, with my carrier bags and dancing clothes under my arm–Mad people, mad things and me, a hoping heart with no idea what was going to happen just around the corner.”Then the adventure of the gigs in English pubs, scented of summer beer. Wondering–dancing–sweating–and waiting, waiting, waiting. My obsessions, my teachers, my aching bones, my comforts and frustrations. So much laughing and crying but always music, music everywhere.And now, crashing out in traffic jams all over the world, longing for home but waking with that same strange feeling–whether from a plane, a bed or a dream–“How come…it’s happening to me?” And it’s only just begun: you’re carrying me into a land of the stage, a place for swallows and trapped mice. Since the time I saw magic made by loving bodies that moved me beyond words, I’ve craved my own troupe of gypsies, my own show, the chance to take a trip with you. And now it’s here–the best and bad times rock’n’rolled into one. The fear and sparklein my stomach. Sure, it’s for me–but it’s for you, too. So take it–take me away with you’ dal discorso di apertura al Tour of life)

Kate Bush mi ha interessato perchè onestamente pura e musicale nei suoi pensieri artistici, ma perchè è stata sicura di sè nonostante le critiche dell’epoca che vedevano in lei una sigla da Walt Disney (soprattutto alll’uscita del primo album) o una voce da gattina rimbecillita. No, Kate ha sempre creduto in se stessa, stando alle sue parole, ha espresso ciò che il cuore deve esprimere in maniera primigenia, senza limiti, barriere, se non da oltre-passarsi (‘be running up that hill” with no problem, cit ‘Runnin up that hill’), non c’è sentimentalismo banale o povero di contenuti realmente alternativi, c’è soltanto la bellezza dei suoi versi di autentica poetessa. Riporto alcune sue poesie dell’infanzia:

I have seen him

I have noticed him seven times or more

But he has not seen me.

He may have seen a girl called by

My name–

But neither he nor anyone else will

Ever really see me.

Catherine Bush (aged 12-13, Form II, 1970-71)

Call me

Call me and I will come,

        Across stones of memories,

And I will follow the sun.

Blare, dare–they are others caring for none but…

What of them?

        They are stones among children’s hands.

Sighing, crying they, are, memories.

They are the stones.

Call me and I will come.

Call me and I shall come,

        Tomorrow.

What of tomorrow? Time rhyme.

Through gates of glass I would follow the sun,

To run, to be free, to be me

I would flee from corridors of cobwebs.

        Hold me!

        Call me!

        And I will come.

Catherine Bush (aged 12-13, Form II, 1970-71)

You

You are a person of unknown reasons,

Reacting with movements and noises.

You may be bold, wear glasses, or have freckles,

Yet inside you there may be great feelings

Of beauty and love, fighting to appear

On the pimpled surface.

It reaches out–“I love you.”

A laugh, a jeer.

The feelings are trapped and you,

You–disappear.

Catherine Bush (aged 12-13, Form II, 1970-71)

Kate è inglese, come Bowie, come Emily Bronte, come tutto ciò che un gentiluomo inglese dovrebbe avere, così Kate parla di Bowie. Si è inglesi sempre, anche se si decide di lasciare la scuola, se poi si legge poco da grandi (come si legge nel diario scritto apposta per i fans), se si trasforma in movimento la stasi della poesia. Il sostrato non cambia, arti fini vengono da un unico comun denominatore che è l’astro della poesia. Ciò che viene da una cosa bella è bello, una legge definitiva.

Giovanni Sacchitelli

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