Il sale.
È sapore, è la vivacità che regala senso a una pietanza che potrebbe essere, altrimenti, insipida.
Per gli antichi era un bene prezioso, era la natura che aiutava a mantenere la natura, a conservare il cibo, a non farlo diventare marcio.
Il sale secca, disidrata, assorbe.
Il sale che ti rimane nei capelli dopo una domenica al mare, a ricordare il sapore di libertà perduta, mentre l’auto fa rotta verso casa, verso una doccia ristoratrice, verso la nuova settimana lavorativa.
Il mare, il mare, il mare.
Carezza fresca nella calura d’estate.
Colore, profondità, i rivoli che indugiano sui muscoli dopo una bracciata, la pozza che allaga l’ombelico, la festa negli occhi dei bambini.

Eppure ogni profondità ha i suoi abissi inesplorati, densi di oscurità che penetrano dove la luce non riesce a perforare la corazza di rifrazione dell’acqua. Ogni abisso cela storie mai arrivate a destinazione, speranze che si affidavano alla chiglia rattoppata di una barca che ha salpato troppe miglia d’acqua, ha affettato troppe onde trasversali per poter arrivare una volta ancora.
Raggiungere di nuovo la terraferma.
Traghettare di nuovo verso uno straccio di futuro che riparte dal lavoro nei campi, dalla raccolta di pomodori sotto la calura di un agosto implacabile. Dalle baracche in periferie di mondi civilizzati, che però somigliano così tanto al nulla da cui si fugge.
Tanto loro ci sono abituati.
Tanto non hanno bisogno d’altro.
Tanto la pelle è già cotta dal sole.

Tanto la carne è già macellata, già seccata, disidratata.
Già sotto sale.

Testo, fotografie e musica di Manlio Ranieri

ispirato al brano CARNE di IOSONOUNCANE
Licenza Creative Commons
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