Perché quando giochiamo con i bastoncini a te tocca sempre la carta o la plastica. E io scendo senza ombrello con troppe birre vuote sempre dispari. Quando imbroglio te ne accorgi: ci ho provato in tutti i modi. La donna di vetro: mi chiami così. Lo faccio lentamente godendo tutte le schegge che non vedo. Vorrei che quella bocca rotonda ingoiasse molte più cose. Indifferenziate e cattive. Ma ci sentiremmo in colpa poi. Nonostante il mistero delle etichette e chi sbaglia colore. E sono sempre stata un po’ di vetro, tu lo sai perché leggi le frasi che sottolineo nei libri. Li trovo spesso fuori posto e non può essere il gatto. Mi fai domande strane quando lavo i piatti, dalla doccia, distrattamente al bar. Le mie carte sono chiuse a chiave. Ma tu in fondo lo sai che scrivo di fantapolitica, gente dei margini e  IX secolo in Cina. Ti racconto cose così piccole e tu ridi: i tre mandarini al clochard, la teoria della scaletta, l’amore per i giubbotti con le tasche a rettangolo, le palline di mercurio, quella striscia di moquette verde, la capra con le orecchie lunghe, le parole della settimana enigmistica che hanno a che fare con la nostra vita. A volte è come mi soffiassero davvero dentro o fossi su qualche uscio, tra le imposte. A volte mi rompo e ritorno densa. Tu sai tutto questo e mi riporti ai segnali stradali: al controsenso risponde l’infrazione ed è raro finisca tutto con un cid.

“Ora ti devi fermare”

Tutto ha un ritmo da non forzare. Non sono mica Wagner, Marinetti o Picasso.

Che è come dire: bisogna conoscere l’ordinario per decidere lo straordinario.

Poche parole per dirmi dell’evoluzione. Cinque mosse avanti per gli scacchi, ma non cinquantacinque. Sono di vetro e non abbiamo mai convissuto, tu non hai mai letto i miei libri. Questi modelli previsionali bellissimi e terribili. Dimentico le bollette, il sale e gli appuntamenti.

A latere.

La cura che ho dimenticato implica un merito che devo inventare. E tu mi dici che non è così e mi parli col silenzio del dare. Di tutte le sinusoidi che ci attraversano. Il tuo sfrenato ottimismo che commuove: cosa ci resta altrimenti?

Non camminiamo sulle nuvole, ci tocca inventarle senza mai perdere di vista la terra.

Delia Cardinale

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