228. – L’Aia, fine agosto 1882. Ieri, verso sera, nei boschi, ero intento a dipingere un terreno leggermente digradante, coperto di foglie di faggio secche, quasi polverizzate. Il terreno era di un colore rosso bruno, in alcuni tratti più chiaro e più scuro in altri, e queste sfumature erano maggiormente accentuate dalle ombre degli alberi che le striavano di strisce più o meno cupe, a volte nitide, a volte semisfocate. Il problema consisteva — e l’ho trovato molto difficile — nell’ottenere la giusta intensità di colore, nel rendere la forza, l’enorme compattezza, di quel terreno; e solo dipingendo mi sono accorto, per la prima volta, di quanta luce c’è ancora nel crepuscolo. Io dovevo cercare di conservarla, quella luce, rendendo al tempo stesso lo scintillio e la profondità di tutta quella gamma di colori…. Ti descrivo la natura, e non saprei dire nemmeno io sino a che punto sono riuscito a coglierne un riflesso, nel mio schizzo; tuttavia, so perfettamente che sono stato colpito da quell’armonia di verde, di rosso, di nero, di giallo, di turchino, di bruno e di grigio. Però, per dipingere questo, ho dovuto rompermi la schiena. Per il terreno sono stato costretto a consumare un tubetto e mezzo di bianco – benché il terreno fosse molto scuro — e, inoltre, del rosso, del giallo, dell’ocra scura, del nero, della terra di Siena, del bistro: e il risultato è un bruno rossastro che va tuttavia dal bistro a un rosso vino cupo, e perfino al livido, al biondo e al rossastro. Inoltre c’è ancora il fondo del terreno e una striscia sottile di erba fresca che imprigiona la luce e scintilla radiosamente: era difficilissimo a rendersi. Ecco, comunque, un abbozzo, a proposito del quale posso affermare, checché se ne dica, che ha un certo valore e che esprime qualcosa. Mi sono detto, mentre lo dipingevo: non mi muoverò di qui prima di essere riuscito a mettervi un riflesso dell’autunno, qualcosa di misterioso, una certa sincerità. Ma poiché l’effetto è di breve durata, ho dovuto lavorare in fretta e ho subito reso le figure con pochi colpi energici di pennello. Avevo notato che i tronchi giovani erano solidamente radicati nel terreno, e ho incominciato a dipingerli con il pennello; ma poiché i tocchi si confondevano a mano a mano con l’impasto del suolo, ho premuto allora direttamente il tubetto di colore sulla tela, per indicare le radici e i tronchi, e poi li ho rimodellati con l’aiuto del pennello. Sì, eccoli piantati, ora, diritti nella terra: ne spuntano fuori, ma sono saldamente radicati a essa. In un certo senso sono felice di non aver imparato a dipingere: forse avrei imparato a trascurare un effetto del genere. Adesso dico: no, ecco esattamente ciò che Voglio; se questo non va, pazienza, non va; ma voglio cercare di dipingerlo lo stesso, pur ignorando come superare l’ostacolo. Non saprei dirti come me la cavo. Mi sono sistemato con un foglio bianco davanti al punto che colpisce la mia attenzione, guardo quello che ho dinanzi agli occhi, e mi dico: questo foglio bianco deve diventare qualcosa; torno a casa insoddisfatto, lo metto da parte, e quando mi sono un po’ riposato vado a guardarlo in preda a un’angoscia indefinibile. Sono sempre insoddisfatto, perché ho ancora troppo nitido nella mente il ricordo di quello stupendo angolo di natura per essere contento, ma questo non m’impedisce di ritrovare nella mia opera un’eco di ciò che mi aveva colpito, e mi accorgo che la natura mi ha detto qualcosa, mi ha parlato, e io ho trascritto in stenografia le sue parole. Benché alcune parole della mia stenografia siano indecifrabili, benché possano esservi errori o lacune, resta nondimeno qualcosa di ciò che la foresta, la spiaggia e le figure mi hanno detto; e non è il linguaggio addomesticato, convenzionale, derivato da una maniera studiata o da un sistema, ma è ispirato dalla natura stessa. Ecco un altro scarabocchio delle dune. C’erano laggiù piccoli arbusti le cui foglie, bianche da una parte e verde scuro dall’altra, stormiscono e brillano continuamente. Nello sfondo, cupi boschi cedui. Come vedi, consacro tutte le mie energie alla pittura e scavo il problema dei colori: finora me n’ero astenuto, e non lo rimpiango. Se non mi fossi dedicato al disegno, non sarei attratto da una figura che mi appare come una terracotta incompiuta, e non ne sarei colpito. In questo momento ho l’impressione di trovarmi in alto mare: devo consacrare alla pittura tutte le forze di cui posso disporre. Se vorrò dipingere su tavola o su tela, ci saranno spese: tutto costa caro, anche i colori sono cari, e la mia riserva si esaurisce presto. Ma pazienza, sono le difficoltà nelle quali incorrono tutti i pittori, e perciò dobbiamo soppesare i nostri mezzi. So tuttavia con certezza di possedere il senso dei colori e che questo senso si svilupperà sempre più, perché ho la pittura l’ho nel sangue. Non so dirti quanto ti sono grato del tuo aiuto così generoso e disinteressato. Ti penso spesso e faccio voti perché la mia opera diventi buona, interessante, virile, in modo che essa possa darti al più presto qualche soddisfazione.

 229. – L’Aia, 9 settembre 1882.  Sento in me una tal forza creativa che sono sicuro verrà il giorno in cui sarò in grado di produrre regolarmente ogni giorno cose buone. Passo di rado una giornata senza far niente, ma ciò che faccio non è ancora quello che vorrei. Mi capita tuttavia di provare l’impressione che ben presto sarò in grado di creare opere remunerative, e non mi stupirei se questo accadesse da un giorno all’altro. In ogni caso, sento che la pittura ridesterà ancora, indirettamente, qualcosa in me.

 309. – L’Aia, primi di agosto 1883. Recentemente, mentre dipingevo, ho sentito risvegliarsi in me una potenza del colore più forte e diversa da quella che avevo posseduto finora. Può darsi che il nervosismo di questi giorni derivi da una specie di rivoluzione nei miei metodi di lavoro; avevo già tentato di ottenere questo cambiamento e vi avevo molto riflettuto. Ho spesso cercato di evitare la secchezza, nelle mie opere, ma finivo sempre con il ricadere nello stesso difetto, o pressappoco. Da qualche giorno una strana debolezza m’irnpedisce di lavorare come al solito, e si direbbe che questo mi serva, anziché impedirmi; quando, invece di studiare le articolazioni e di analizzare la struttura degli oggetti, ho lo spirito più o meno disteso e guardo le cose attraverso le ciglia, mi sembra di vederle meglio, come macchie di colore in contrasto reciproco. Sono curioso di conoscere l’evoluzione e la conclusione di questo fenomeno. Mi è capitato di stupirmi di non essere maggiormente colorista, perché il mio temperamento mi porta a esserlo: finora, però, il mio senso dei colori non si è ancora sviluppato. Ripeto, sono curioso di conoscerne la conclusione. In ogni caso, vedo chiaramente che i miei ultimi studi sono diversi dagli altri. … Vivo dunque come un ignorante, il quale sa con certezza una cosa sola: in pochi anni devo assolutamente terminare un determinato lavoro. Non è necessario che mi affretti tanto, perché non servirebbe a nulla: devo seguitare a lavorare con calma e serenità, il più regolarmente e ardentemente possibile. Il mondo non m’interessa se non per il fatto che ho un debito verso di esso, e anche il dovere, dato che mi ci sono aggirato per trent’anni, di lasciargli come segno di gratitudine alcuni ricordi sotto forma di disegni o di quadri, non eseguiti per compiacere a questa o a quella tendenza, ma per esprimere un sentimento umano sincero.  

W 1. – Parigi, estate-autunno 1887. Alla sorella Wilhelmina.    Esercito un mestiere che è sporco e difficile: la pittura. Se non fossi quello che sono, non dipingerei; ma, essendo quello che sono, lavoro spesso con gioia, e intravvedo la possibilità di fare un giorno dei quadri dove ci sarà un po’ di freschezza, di gioventù, essendo la gioventù una delle cose che ho perduto. Se non avessi Theo, mi sarebbe impossibile raggiungere con il mio lavoro ciò che voglio; ma, avendo Theo per amico, credo che farò ancora dei progressi, che riuscirò ad affermarmi. Il mio progetto è di andare, non appena lo potrò, a trascorrere un po’ di tempo nel Mezzogiorno, dove c’è più colore, più sole. Ma ciò cui soprattutto spero di arrivare, è di dipingere un buon ritratto. Finalmente. …  Quello che penso del mio lavoro è che le scene di contadini che mangiano patate [n. 151], che dipingevo quando ero a Nuenen, sono ancora, dopotutto, il meglio che ho fatto. In seguito, mi è mancata disgraziatamente l’occasione di trovare dei modelli; viceversa, ho avuto la possibilità di approfondire il problema del colore. Più tardi, quando ritroverò dei modelli per le figure, spero di far vedere che quello che cerco è ancora diverso dal dipingere fiori o paesaggi verdeggianti. L’anno scorso ho dipinto quasi esclusivamente fiori, per abituarmi a servirmi di colori che non fossero soltanto il grigio: vale a dire a usare il rosa, il verde, pallido o crudo, l’azzurro, il violetto, il giallo, l’arancione, un bei rosso. Quest’estate, mentre dipingevo alcuni paesaggi ad Asnières, ho visto più colore di prima. Adesso cerco di fare dei ritratti. E devo dire che non per ciò dipingo peggio ; forse perché potrei dirti molto male sia dei pittori sia dei loro quadri, con la stessa facilità con cui potrei dirtene bene.

533. – Arles, settembre 1888.    Ho vegliato a dipingere per tre notti di seguito, coricandomi durante la giornata. Spesso mi sembra che la notte sia molto più viva e moltissimo più colorata del giorno. Ora per ciò che concerne riavere il denaro pagato all’affittacamere per la mia pittura, non insisto, perché il quadro [n. 576] è uno dei più brutti che io abbia fatto. È l’equivalente, benché diverso, dei Mangiatori di patate [n. 151]. Ho cercato di esprimere con il rosso e il verde le terribili passioni umane. La sala è rosso sangue e giallo opaco, un biliardo verde in mezzo, quattro lampade giallo limone a irradiazione arancione e verde. C’è dappertutto una lotta e un’antitesi dei più diversi verdi e rossi, nei piccoli personaggi di furfanti dormienti, nella sala triste e vuota, e del violetto contro il blu. Il rosso sangue e il verde giallo del biliardo, per esempio, contrastano con il delicato verde tenero Luigi XV del banco, dove c’è un mazzo rosa. Il vestito bianco del padrone, che veglia in un angolo di questa fornace, diventa giallo limone, verde pallido e luminoso.  Ne faccio un disegno con toni all’acquerello per mandartelo domani, affinchè tu ne abbia un’idea. … r.:Il Caffè di notte continua il Seminatore [n. 520], come pure la testa del vecchio contadino e del poeta, se riesco a fare anche quest’ultimo quadro. Non si tratta però di un colore localmente vero dal punto di vista realistico del ‘trompe-l’ceil’, ma di un colore che suggerisce una qualsiasi emozione di un temperamento ardente. Quando Paul Mantz vide all’esposizione che anche noi abbiamo visitato, agli Champs-Elysées, lo schizzo violento ed esaltato di Delacroix La barca del Cristo, se ne allontanò gridando nel suo articolo: “Non sapevo che si potesse essere così terribili con del blu e del verde”. Hokusai ti fa lanciare lo stesso grido, ma mediante le sue linee, il suo disegno, come quando nella tua lettera tu dici: “Quelle onde sono artigli, la nave vi è imprigionata, lo si sente” Ebbene, se si adoperasse soltanto il colore o soltanto il disegno, non si procurerebbero simili emozioni.

626 a. – Saint-Rémy, febbraio 1890. Al critico d’arte Albert Aurier.   Nel prossimo invio che farò a mio fratello, aggiungerò uno studio di cipressi per Lei [n. 767], se vorrà farmi la cortesia di accettarlo in ricordo del Suo articolo. In questo momento vi lavoro ancora, poiché desidero inserirci una figurina. Il cipresso è così caratteristico del paesaggio provenziale, e Lei lo sentiva quando diceva: “persino il colore nero”. Fino ad ora non ho potuto renderli come li sento: le emozioni che mi assalgono davanti alla natura vanno in me fino allo svenimento, e ne deriva allora una quindicina di giorni durante i quali sono incapace di lavorare. Eppure, prima di partire di qui, conto di tornare ancora una volta alla carica per attaccare i cipressi. Lo studio che Le ho destinato ne rappresenta un gruppo all’angolo di un campo di grano durante una giornata estiva di Arial. È dunque la nota di un certo nero inespressa in un turchino mosso dalla grande aria che circola, e fa contrasto a questa nota nera il vermiglio dei papaveri. … Quando lo studio che Le manderò sarà completamente asciutto anche negli impasti, senza dubbio non prima di un ‘anno, penso che farebbe bene a passarvi una forte mano di vernice. E nel frattempo bisognerà lavarlo più volte con acqua corrente per toglierne completamente l’olio. È dipinto con blu di Prussia pieno, colore di cui si dice tanto male, e di cui nondimeno si è tanto servito Delacroix. Credo che quando i toni di blu di Prussia si saranno bene asciugati, verniciando Lei otterrà i toni neri, nerissimi, necessari per far risaltare i vari verdi cupi.

Van Gogh – Epistolario, Classici dell’Arte,  Rizzoli Editore. In evidenza, La spiaggia di Scheveningen prima di una tempesta, 1882.

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