Erano passati circa 527 giorni. Vincent era in libertà vigilata. Una volta alla settimana, di mercoledì, andava al canile. Gli piaceva ricordare così, anche se non era vero che andava al canile. Lei lo sapeva, già dopo le prime notti. Vincent si sentiva tranquillo a parlarle di box, odori chimici, prigionieri e pareti verdi. Viveva vicino al teatro che circondava devoto con i passi svelti. Ma non ci era mai stato: era una cosa difficilissima per quegli anni. Gli sembrava tutto danzante e pericoloso sui falò della nuova contumacia. I circa 527 giorni da eremita, a raccogliere cicorie e imitare le tartarughe, mangiando portulaca e frutti bacati, gli avevano insegnato a tornare al mondo. E giocando col fenolo e i fiammiferi, in tutti gli angoli di una  città sconosciuta, sfilandosi l’edera dagli occhi e guardando ancora le donne, si era illuso di aver rivestito d’acciaio la sua ridicola ragnatela. Ma camminava in una bolla di sapone e le strade erano piene di spigoli. Lei lo sapeva che Vincent aveva già morso e pagato. Lei sapeva che era stato accalappiato proprio di fronte a quel teatro. E avevano chiamato i carabinieri, la gente aveva paura. Il miracolo di quella signora che gli ordinò una camomilla è un racconto che lei sapeva a memoria. Vincent ce l’aveva impresso dentro e quando ci pensava avrebbe  voluto portarle dei fiori: peonie bianche. Si guardavano i film e si giocava a carte. Si faceva sempre l’amore e lei cucinava bene. Anche se lui spesso non voleva mangiare e decideva che era il momento di piangere molto e chiudersi da qualche parte. Lei era lì quando Vincent cambiava il colore degli occhi e rompeva gli specchi. Era sereno a tratti, difettoso a tratti. A volte sceglieva il collare a strozzo perché non c’erano alternative: il cappio arrivava violento e lo faceva schiumare. Lei gli decise una carezza a cui non era abituato. Abbassava le orecchie ringhiando e aspettando il bastone. Sommerso dalla sua dolcezza, dopo essere stato così cattivo: fu la violenza più grande. Per questo Vincent non voleva più le notti, ma una casa. E lei lo era davvero la sua casa: bianca, liscia e calda come solo una vera casa può essere. Aveva cura di lui anche se a quel tempo andava in corto come gli impianti elettrici nei temporali e poi abbaiava e poi si addormentava. Mercoledì dopo mercoledì, Vincent aspettava la sua ultima firma. Non sapeva fare ancora tante cose nascondendosi a se stesso, a lei che gli chiedeva perché corrugava la fronte.

“Ha i capelli puliti, non è un cattivo ragazzo…ha i capelli puliti..” quella volta che Vincent scambiò un uomo in verde per suo padre. “Papà…” nel delirium tremens di un qualche eccesso disfunzionale. Era così giovane e lei piangeva così tanto. Gli accarezzava la testa. Tutto questo non era giusto. La sua anima randagia lo portò ai cassonetti, lungo le autostrade,nei fari di quei tir evitati per un soffio. Non erano bastati circa 527 giorni. Vincent era confuso, credeva di dover cambiare tutto. Con quella paura si aprì ad una persona che lo pugnalò alla prima occasione. Doveva essere un amico. Scelse poi un’altra casa che era una bugia. E lei era lontana, scavata dal dolore e dall’inettitudine di un ragazzo che non sapeva vivere. Per questo e per tanto altro Vincent è morto. Morto di rabbia: non aveva fatto il vaccino.

Delia Cardinale

 

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