Il caffè della moka si annuncia gorgogliando, in una sinfonia di bolle bollenti, invitanti come la migliore partitura di Mozart. Quand’ero bambino amavo imitare quel rumore stringendo le labbra in una “O” e lasciando che l’aria, provenendo da condotti gutturali, attraversasse veli di saliva. Ero bravo anche ad allargare la bocca al momento giusto, per simulare l’attimo in cui l’acqua ha finito di gorgogliare attraverso il filtro pressato di polvere scura e il caffè ha iniziato a bollire nel recipiente, segno che si deve spegnere la fiamma se non si vuole rischiare di conferirgli quel sapore bruciato.
Qualche volta lo faccio ancora oggi.
Il caffè della moka, per me, simboleggia le case della vacanza, quelle in cui non si abita abbastanza da poter giustificare l’acquisto di una macchinetta elettrica per l’espresso. Per me il caffè è un culto: lo acquisto – rigorosamente in grani – direttamente dalla torrefazione slowfood, lo macino nella quantità strettamente necessaria e ne ricavo una o più tazzine cremose al punto giusto, attraverso una serie di riti propiziatori tesi ad ottenere la giusta temperatura e la giusta pressione di uscita. Ma non sono neanche così fanatico – così schiavo degli agi – da trasportare la macchina per l’espresso nei bagagli, sempre essenziali, con cui parto per qualsiasi vacanza: meglio lasciar spazio ai libri, ai taccuini per appuntare idee e al portatile per metterle giù in bella copia. Ecco che, quando sono ospite in case provvisorie o – meglio ancora – in tende piantate sotto le chiome degli alberi, il caffè diventa più spartano, più tradizionale, più nero, e torna ad assorbire quella poesia delle cose lente, svelate a poco a poco attraverso l’attesa.
Il caffè della moka campeggia in questo apparecchio antico ma sempre attuale, sulle tavole di colazioni che non hanno la fretta di terminare per lasciare spazio a impegni più urgenti, più redditizi, più improrogabili. Predilige certi tipi di case, ad esempio in un bel centro storico, anche ristrutturate per ospitare viandanti. Campeggia sulla tavola della mattina, nella luce filtrata dalle tapparelle, assieme a biscotti del discount comprati per tamponare le zanne della fame del risveglio, dopo una notte d’amore.
Il caffè della moka ha l’odore e il sapore della libertà, come quelle estati bambine, quelle che sapevamo ancora amare perché non avevamo conosciuto certi agi tanto suadenti quanto innaturali, con la loro assuefazione programmata, come l’aria condizionata in ufficio e le serie tv. O la macchinetta per l’espresso.

Manlio Ranieri

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