Agostino è un racconto di settantasei pagine di Alberto Moravia. Quel Moravia a cui l’amico di Nanni Moretti, futuro pigro supplente, faceva il verso, imitandone la voce nasale e inquisitoria, allo stesso modo di Pino Settanni che ritrasse nei suoi colori antichi, seppure contemporanei, il ghigno saggio di uno scrittore piuttosto profondo.

Avevo acquistato l’edizione Bompiani  del suddetto racconto, noto che sulla copertina è presente il logo dell’espresso, sicuramente è stato accompagnato al giornale  come allegato soddisfacendo il naso dei lettori accaniti di qualche decennio indietro, avevo dunque acquistato questo libro anni fa durante i miei studi universitari, attratto sicuramente dalla brevità (“riesco a leggere solo cose brevi, solo piccole cose” Nanni Moretti, Aprile) della narrazione e dall’accostamento simbolico tra uno scrittore denso di contenuti e di prosa rispetto ad un titolo minore e poco conosciuto, rispetto alle altre creazioni più famose (Gli indifferenti), perché è bello saltare di palo in frasca ed arrivare immediatamente alla cosa più chic, adattandolo al nostro occhiello e figurandolo come un accessorio prezioso nel nostro essere; tra i vari traslochi ho conservato questo libretto insieme ad altre cose, e non ho mai avuto voglia di leggerlo, l’edizione Bombiani ha inoltre un giallastro maleodorante che stimola poco la lettura, a distanza di anni, così come ho fatto per l’adorato Puskin, ho ripreso e letto avidamente Agostino, immergendomi nei periodi semplici e al contempo significativi di uno scrittore abbastanza sveglio; la prosa scorrevole di un racconto che narra di un tema oggettivo e facile, quello dell’emigrazione dallo stato di fanciullezza a quello più netto della maturità, nasconde in sé alcuni sintomi di un’ingenuità di fondo; ad esempio mi sembra troppo casalingo l’uso dell’espressione “la madre”, “Agostino faceva questo e quest’altro ma la madre reagiva” pensandoci non viene in mente una sostituzione più professionale di questa espressione, un sostituto più forbito sarebbe troppo d’intralcio alla prosa chiara e calma, come l’estate del Bagno Vespucci, che viene come un’immagine alla coscienza del lettore ponendosi fuori di qualunque stato di coscienza nero e materiale, sentiamo, come in uno scatto di Luigi Ghirri, che quel sole torbido delle undici del mattino indora la nostra pelle, mentre all’orizzonte  un battello scruta probabili pericoli, sicuro che niente può accadere quando è Estate; ci sono dei modi di dire che, in Agostino, ci fanno fermare, pensando che Moravia fosse un po’ tocco per usare certi termini,  o troppo provinciale, questa sensazione si prova leggendo i primi capitoli, quelli in cui la struttura forte dell’essere bambino viene subito presentata a partire da un’azione, in un mentre che riguarda la Madre, come in tutti i film in cui si vuole presentare uno stato di cose nel bel mezzo della sua realizzazione, poi delineata nei suoi fondamenti essenziali uno stato di Grazia, in cui Agostino, come tutti i libri che trattano dell’infanzia perfetta, vive nelle sue regole dovute, nell’agiatezza dovuta da una madre ricca (“e quanto sei ricco?”) nel vestiario che è sintomatico di una natura elevata rispetto ai futuri compagni del Bagno, Speranza?, una vita agita, dei bei vestiti, l’abitudine all’ozio e alla meditazione, come quelli che posso permettersi la fantasia e il superamento dell’uomo-macchina, dando spago al desiderio, all’invenzione (“la sua casa non era più un luogo dove inventare agguati, giocare” ) tutto ciò che vive nel corpo aggraziato, i capelli biondi, gli occhi e la pelle chiara (“bello è buono”)  rispetto a chi è nerboruto, brutale, cinico, immediato e materialista, come i compagni che segnano il passaggio ad una maturità che non avverrà mai, (“agostino non era ancora un uomo, e molto tempo triste sarebbe passato prima che lo fosse diventato”).

Nella prima parte del racconto viene esposta la struttura cristallina dell’uomo perfetto, quello che vive nel giardino delle delizie preparato con cura da Dio, prima che venga corrotto dagli istinti sensuali (S. Agostino parlava di tentatio oculorum), e in questo penso bene quel padre dell’Emile di Rousseau, che fece di tutto per tenere l’uomo lontano dalle donne; l’uomo perfetto, rappresentato da Agostino prima maniera, è quello precedente il peccato originale, e si sa che da quando è stato inventato Dio e il Demonio, il male da debellare è sempre la donna e il sesso, chiamando peccato ciò che curiosamente va contro un bisogno, meglio dire una funzione essenziale dell’uomo civile, che è quello del progetto di riproduzione.

Il male è ciò che svia, direbbe Kafka, ed in parte ha ragione, perché la dottrina religiosa ha inventato il peccato chiamandolo donna o sesso, o rapporto extra-coniugale, o saffico, o pederastia (sia essa con bambini o con animali, stando all’etimo originario dell’epoca classica).

Agostino è il libro sull’infanzia che tutti ci aspettiamo, non del tutto se si legge il finale, quando Agostino chiede alla madre di essere trattato come un uomo, eppure non lo è ancora, e resta in quello stato ibrido di castità puerile e corruzione adulta, infatti non riuscirà mai a guardare sua madre come una donna e basta “è soltanto una donna”, ripete spesso a se stesso, questo accade dopo che gli amici del Bagno Speranza, dicono quello  che fanno le donne quando, come la madre, si ritirano con un ragazzone lontano dal bagnasciuga, amoreggiando lontano dagli occhi di un Agostino. Agostino non è il bambino classico che matematicamente diventa grande, come una somma precisa di atomi che costituiscono un elemento scientifico, come i cartoni animati, come i ragazzi della via Pal, come Piccoli uomini, agostino è l’uomo superiore che da uno stato di Grazia antecedente la scoperta, seppure torbida, della carne, approda al mondo degli uomini fatto di peccato, distanza affettiva, scaltrezza, mancanza di sentimenti umani, promiscuità sessuale (come gli amici del bagno speranza che si toccano tra di loro) o di rispetto (nell’ultima parte  del racconto, prima che Agostino vada a conoscere una donna in una casa di piacere, aspetta oltremodo il suo compagno, compagno per modo di dire, che lo lascia ad aspettare in maniera irrispettosa, rubandogli anche i soldi).

Per Moravia la fase adulta è la scoperta della carne e la distruzione del sostitutivo autentico che faceva da palliativo prima che la pubertà venisse fuori. L’uomo perfetto, bello, intelligente, dedito alla meditazione (lo stesso sguardo dell’uomo razionale di Poe in Manoscritto trovato in una bottiglia, specificando la sua natura contemplativa racconta ciò che va contro la ragione, meravigliato ed impaurito), che non ancora conosce il valore negativo dato alla sessualità un valore ed un posto che poi diviene onni-comprensivo( come per gli amici cattivi del Bagno Speranza) perché negativo è ciò che Dio definisce tale, il progetto essenziale alla riproduzione, anche se muto e privo di valore o conseguenze morali, diviene peccaminoso, perché l’animo corrotto dell’uomo successivo allo stato di Grazia, vede soltanto carne, sensualità peccaminosa, errore.

Agostino, capisce che gli amici del Bagno Speranza, hanno definitivamente sostituito simbolicamente il desiderio di fantasia, lettura, gioco, affetto, con la presenza preponderante ed esclusiva del sesso. I sentimenti, come quelli che chiaramente Agostino prova nella prima parte del racconto, nei confronti della madre, devono essere elisi, lasciando spazio alla distanza, alla mancanza di affetto, ad un corpo diverso dall’altro, parlando di commercio di sostanze (Leibniz), di atomi chiusi in se stessi che vanno verso un altro esclusivamente per garantire il processo, ora peccaminoso, della biologia umana, con il tentativo sessuale o in mancanza, dell’autoerotismo.

Agostino, non riuscirà mai a sostituire del tutto un unico desiderio a quella serie di cose che può fare un uomo quando non lavora, vagheggiare, immaginare, viaggiare in posti medievali ed esotici, fermarsi a capire i legami razionali tra un’azione ed un’altra, ascoltare il proprio corpo, amarlo, riposarsi, concepire idee interessanti. L’uomo-macchina, con il tarlo unico della produttività e del successo economico, è in parte gli amici del Bagno Speranza, tutti figli di gente povera, tutti già salariati, tutti già grandi. Del resto se non lavori, che fai?

Kafka cercò di superare questo quesito, ma non ci riuscì e tutta la sua letteratura altro non è che un pharmacon   contro l’angoscia di non essere produttivo ed inserito nello Stato-macchina. Kafka, comunque, era più problematico.

L’uomo perfetto dedito al pensiero astratto e al disprezzo per ciò che e materiale e finito, prova sofferenza all’adeguamento e alla definitiva cancellazione dell’ordine dei pensieri puri e astratti, l’uomo perfetto che incarna Agostino e l’uomo precedente allo stato di uomo-macchina, ha una struttura psichica complessa, aperta, dei nervi di seta, poco inclini ai messaggi neuronali veloci della catena di montaggio, nella quale ciò che è utile, funzionale, sostituisce le reazioni  delicate dell’uomo di genio, autentico; come una nave preparata per un possibile affondamento, l’uomo macchina ha in sé una serie di compartimenti stagni che salvano nel momento in cui si decide di pensarla diversamente, allora possiamo salvarci dall’isolamento e dall’angoscia di restare soli applicando regole definitive, che tutti accettano con il sorriso, così possiamo tranquillamente deridere Agostino che “non ancora fuma” “che non sa giocare a carte” che è un “piantintasca” che non sa cosa fanno un uomo e una donna quando sono da soli, oppure che “non faceva già l’amore con la perpetua” come dice un adulto prima che Agostino cerchi di entrare, ma è troppo piccolo per farlo.

In cerchio, l’uomo-macchina, con il suo cervello fatto di precise strutture a forma di cubi, leve, martelli che cadono sempre su una determinata incudine, ammonisce l’uomo perfetto, quello precedente allo stato di corruzione, ha la colpevolezza di non essere come gli altri, non vive velocemente, pensa troppo, non lavora, non è servo gradito dello Stato-macchina, dà uno spazio ridicolo e poco virile ai sentimenti puri, all’attenzione per chi ci è gradito, alle voci del cuore, non pensa che le giornate vadano consumate come un pacchetto di sigarette e le ore devono passare velocemente, in una direzione, anche se si resta egoisticamente chiusi nella propria direzione fatta di economia e di vantaggi da essa provenienti. Come poteva Agostino non restare trafitto dai dardi della volgarità e dell’utile? Gli amici non sono veri amici, sono pronti a prenderti a pugni per una parola non cattiva, stanno insieme solo perché non sanno dove andare, sono legati da un accordo del fato della Provincia che fa si che tutti vadano con tutti senza legami di affetto o di condivisione.

Non riuscirà il protagonista a diventare grande, è troppo intelligente ed acuto per approvare il luogo comune o il pensare così perché lo fanno tutti. Qualcuno disse che si è poeti quando si decide di spendere pochi spiccioli per un libro anzi che per un pasto sicuro, questa banale metafora che va contro lo stato-macchina possiamo metterla tranquillamente in bocca ad Agostino, senza che lui dica nulla, come sempre.

L’uomo perfetto, quello che vive nello Stato di Grazia, è da sempre deciso a superare i nodi della materia e soddisfare quasi esclusivamente i bisogni dello spirito, allora cos’è il poeta se non chi racconta un legame diverso tra le cose, dando un valore diverso a ciò che gli sta davanti, fermandolo come si fa con un reperto raro, decorandolo di stupore e meraviglia.

E di meraviglia Agostino ne prova infinita, gli amici che tra loro si pestano e poi dopo qualche istante tutto torna come prima, si potrebbe dire che il poeta è semplicemente uno che ha una fisiologia diversa rispetto ad un altro, che ha dei nervi più acuti, tuttavia chi, nella cerchia degli artisti pensa in maniera pressappoco identica o simile, condivide con essi uno stato interno che posso definire diverso e poetico.

La vocazione poetica o ultra-materiale, che va dunque contro lo stato macchina, è quella di Agostino e di chi ha una mente più bella rispetto ai bruti amici del Bagno Speranza, perché non siamo fatti per servire la tecnica, o peggio la tecnologia, ma per vivere dei messaggi autentici del nostro cervello, per osservare, non per agire.

Un amico del Bagno Speranza non avrebbe mai composto dei periodi ampi, pieni di dubbi e ritorni al passato, avrebbe anzi, come un animale, pensato al pranzo, o alle forme volgari di una lavandaia, e poi si sarebbe masturbato, evitando che tra le polpe del suo cervello si insidiasse la macchia dell’infatuazione amorosa e e del bello.

Questo racconto mi è piaciuto, forse ingenuamente, perché dimostra che l’uomo non è solo materia, che la mente può essere sempre cambiata dal dominio dell’utile e del materialismo, che insomma c’è qualcuno che la pensa come me.

Giovanni Sacchitelli

(in evidenza Alberto Moravia, Pino Settanni 1987)

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