« La necessità di questo libro sta nella seguente considerazione: il discorso amoroso è oggi d’una estrema solitudine.[…] Quando un discorso viene, dalla sua propria forza, trascinato in questo modo nella deriva dell’inattuale, espulso da ogni forma di gregarietà, non gli resta altro che essere il luogo, non importa quanto esiguo, di un’affermazione. Questa affermazione è in definitiva l’argomento del libro che qui ha inizio. »

Roland Barthes

Frammenti di un discorso amoroso (titolo originale: Fragments d’un discours amoureux) è un saggio del semiologo francese Roland Barthes.

Organizzato per 80 voci ordinate alfabeticamente, il libro è uscito per le Éditions du Seuil nel 1977 e tradotto da Renzo Guidieri nell’Einaudi (collana “Gli struzzi” n. 203) nel 1979. Trenta anni dopo la stessa casa editrice francese ha pubblicato i testi di appunti per il seminario tenuto da Barthes all’Ecole pratique des hautes études nei due anni accademici 1974-1976 i quali stanno dietro la composizione del saggio.

Principali riferimenti sono al Werther di Goethe, al Simposio di Platone, a Nietzsche (in quegli anni Barthes ne seguiva la lettura di Gilles Deleuze), alla psicoanalisi freudiana elacaniana, e alla cultura zen, oltre alla letteratura mistica (in particolare a Juan de la Cruz), ai Lieder tedeschi e a diverse opere letterarie (in particolare di Balzac, Dostoevskij,Flaubert, Laclos, Proust e Stendhal). Altri autori citati sono Bruno Bettelheim, André Gide, Heinrich Heine, Julia Kristeva, Victor Hugo, Pierre de Ronsard, François Wahl, Donald Winnicott.

Tra le tante tesi del libro si colgono quelle che liberano l’innamorato dal giudizio e consegnano l’immagine all’immaginario, ovvero che si ama l’amore più dell’amato stesso, rendendo particolarmente fertili l’assenza e l’attesa dell’amato. La larga rassegna di sensazioni e desideri dell’innamorato includono il voler capire, l’ostinarsi ad affermare l’amore nonostante tutto, la ricerca impossibile dell’appagamento, il sentirsi colpevoli, desideranti (ovvero “in languore”) e compassionevoli o posseduti da demoni (in particolare da quello del linguaggio) o asserviti e comunque con una riduzione del senso di realtà delle cose (laddove chiama il mondo “siderato”, e l’innamorato come “in estasi”), oppure inadeguati (il sentirsi “mostri”, “osceni”o “vulnerabili”).

Il percorso d’amore non è una strada diritta, ma un dispendio (categoria mutuata a Georges Bataille e a William Blake) e una messa in esilio nella finzione, dove l’innamorato si ritrova pieno di gelosia e stanchezza (in senso filosofico, alla Maurice Blanchot), nonché di tendenza a identificarsi con altri innamorati (o comunque ad avere la tendenza a ritenere gli altri tali) e a dare peso più alle immagini in sé che alla conoscenza, dato che i segni sono comunque sempre incerti e in un gioco a caduta libera.

Le tipiche figure includono amici informatori e pettegoli, dichiarazioni (tramite la “non-frase” di “io ti amo”), lettere, riti e azioni segrete, nascondimenti, feticci, ricordi e rimpianti, scenate (con l’immagine potente del linguaggio che “ha perso il suo oggetto”) e altre messe in scena, compreso il desiderio di suicidio.

Proprio il linguaggio è continuamente osservato, i suoi effetti (altrettanto inadeguati o percepiti come tali) e le sue leggi: “voler scrivere l’amore significa affrontare il guazzabugliodel linguaggio: quella zona confusionale in cui il linguaggio è insieme troppo e troppo poco, eccessivo […] e povero”, scrive a un certo punto. Questa attenzione al linguaggio ha portato lo stesso Barthes a scegliere uno stile quasi nebbioso, fortemente evocativo e squisitamente colto per un territorio che nonostante tutto non può essere limitato. Perché il discorso dell’amore è un discorso impossibile e l’altro diventa inafferrabile. Ecco che allora Barthes riprende la saggezza orientale per rispondere a chi cerca la verità con un semplice “sì”, spostamento a lato che è dedizione, amore, appunto, il suo scandalo (nel senso che fa più scandalo la sentimentalità della sessualità).

Il libro ebbe un immediato successo, sia in Francia sia in Italia, ed è ancora oggi, insieme a La camera chiara, il suo libro più noto e più venduto.

Alcuni passi:

Come è fatto questo libro

Tutto è partito da questo principio: che non bisognava ridurre l’innamorato a un puro e semplice soggetto sintomatologico, ma piuttosto dar voce a ciò che in lui vi è d’inattuale, vale a dire d’intrattabile. Di qui la scelta di un metodo «drammatico», che rinuncia agli esempi e si basa unicamente sull’azione d’un linguaggio immediato (niente metalinguaggio). La descrizione del discorso amoroso è stata perciò sostituita dalla sua simulazione, e a questo discorso è stata restituita la sua persona fondamentale, che è l’ io, in modo da mettere in scena non già un’analisi, ma un’enunciazione. Quello che viene proposto è, se si vuole, un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico, bensí strutturale: esso presenta una collocazione della parola: la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente, di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla.

1. Figure.

Dis-cursus indica, in origine, il correre qua e là, le mosse, i «passi», gli «intrighi». In effetti, l’innamorato non smette mai di correre con la mente, di fare nuovi passi e d’intrigare contro se stesso. Il suo discorso non esiste mai se non attraverso vampate di linguaggio che gli vengono in seguito a circostanze infime, aleatorie.

Possiamo chiamare questi frammenti di discorso delle figure.

«Nell’amorosa quiete delle tue braccia»

Abbraccio Per il soggetto, il gesto dell’abbraccio amoroso sembra realizzare, per un momento, il sogno di unione totale con l’essere amato.

1. Oltre all’accoppiamento (e al diavolo l’Immaginario), vi è quest’altro abbraccio, che è una stretta immobile: siamo ammaliati, stregati: siamo nel sonno, senza dormire; siamo nella voluttà infantile dell’addormentamento: è il momento delle storie raccontate, della voce che giunge a ipnotizzarmi, a straniarmi, è il ritorno alla madre (nell’amorosa quiete delle tue braccia, dice una poesia musicata da Duparc). In questo incesto rinnovato, tutto rimane sospeso: il tempo, la legge, la proibizione: niente si esaurisce, niente si desidera: tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati.
2. Tuttavia, nel mezzo di questo abbraccio infantile, immancabilmente, il genitale si fa sentire; esso viene a spezzare l’indistinta sensualità dell’abbraccio incestuoso; la logica del desiderio si mette in marcia, riemerge il voler prendere, l’adulto si sovrappone al bambino e, a questo punto, io sono contemporaneamente due soggetti in uno: io voglio la maternità e la genitalità. (L’innamorato potrebbe definirsi un bambino con il membro eretto: tale era il giovane Eros).

Amare l’amore

Annullamento Accesso di linguaggio durante il quale il soggetto giunge ad annullare l’oggetto amato sotto il volume dell’amore stesso: con una perversione propriamente amorosa, il soggetto ama l’amore, non l’oggetto.

1. Carlotta è scialba; è il meschino personaggio d’una messa in scena vigorosa, tormentata, sfavillante, allestita dal soggetto Werther; in virtú d’una sovrana decisione di questo soggetto, un oggetto insignificante viene posto al centro della scena, e là viene adorato, incensato, chiamato in causa, coperto di discorsi, di preghiere (e forse, segretamente, d’insulti); si direbbe che essa sia una grossa colomba, immobile, tutta chiusa nelle sue penne, con un maschio un po’ matto che le gira intorno.
Basta che, in un lampo, io veda l’altro nelle vesti d’un oggetto inerte, come impagliato, perché trasferisca il mio desiderio da questo oggetto annullato al mio stesso desiderio; io desidero il mio desiderio, e l’essere amato non è piú che il suo accessorio. Mi esalto al pensiero di una cosí nobile causa, che non tiene nel minimo conto la persona che ho preso a pretesto (questo è almeno quanto mi dico, felice di potermi innalzare sminuendo l’altro): io sacrifico l’immagine all’Immaginario. E se un giorno dovessi decidermi di rinunciare all’altro, il violento lutto che mi colpirebbe sarebbe il lutto dell’Immaginario: era una struttura cara, e io piangerei la perdita dell’amore, non già la perdita di questa o quella persona. (Voglio ritornarci, come la sequestrata di Poitiers voleva tornare al suo grande fondo Malempia).

Io ti amo

Io-ti-amo La figura non si riferisce alla dichiarazione d’amore, alla confessione, bensí al reiterato proferimento del grido d’amore.

1. Passato il momento della prima confessione, il «ti amo» non vuol dire piú niente; esso non fa che riprendere in maniera enigmatica, tanto suona vuoto, l’antico messaggio (che forse quelle parole non erano riuscite a comunicare). Io lo ripeto senza alcuna pertinenza; esso esorbita dal linguaggio, divaga: ma dove?
Non potrei scomporre l’espressione senza ridere. Come! Vi sarebbe un «io» da una parte, un «tu» dall’altra e, in mezzo, una sensata (poiché lessicale) congiunzione d’affetto. Chi potrebbe non avvertire che, quantunque conforme alla teoria linguistica, una tale scomposizione deformerebbe ciò che è buttato fuori tutt’insieme? Il verbo amare non esiste all’infinito (se non per artifizio metalinguistico): il soggetto e l’oggetto formano un tutt’unico con la parola che viene proferita, e l’ io-ti-amo va inteso (e qui letto) all’ungherese che, in una sola parola, suona szeretlek, come se l’italiano fosse una lingua agglutinante (ed è proprio di agglutinazione che si tratta).

[…]

2. L’ io-ti-amo è senza impieghi. Al pari di quella d’un bambino, questa parola non è soggetta ad alcun obbligo sociale; essa può essere una parola sublime, solenne, superficiale, come può anche essere una parola erotica, pornografica. E’ una parola socialmente sradicata.

L’ io-ti-amo è senza sfumature. Esso sopprime le spiegazioni, gli accomodamenti, le graduazioni, gli scrupoli. Paradosso esorbitante del linguaggio, dire io-ti-amo è in un certo qual modo fare come se non esistesse un teatro della parola, e questa parola è sempre vera (essa non ha altro referente all’infuori del suo proferimento: è il risultato d’una performance).

Perché?

Perché  Mentre da un lato si domanda ossessivamente perché non è amato, dall’altro il soggetto amoroso continua a credere che in fin dei conti l’oggetto amato lo ama, solo che non glielo dice.

1. Esiste per me un «valore superiore»: il mio amore. Io non mi dico mai: «A che pro?» Non sono nichilista. Non mi chiedo qual è il fine. Nel mio discorso monotono non vi sono mai dei «perché»; ce n’è uno soltanto, sempre lo stesso: ma perché tu non mi ami? Come si può non amare questo io che l’amore rende perfetto (che dà tanto, che rende felice, ecc.)? Domanda la cui insistenza sopravvive all’avventura amorosa: «Perché non mi hai amato? »; o anche: «O, dimmi, dilettissimo amore del mio cuore, perché mi hai abbandonato? [O sprich, mein herzallerliebstes Lieb, warum verliessest du mich?]»

Unione

Unione Sogno di unione totale con l’essere amato.

1. Definizione dell’unione totale: è l’«unico e semplice piacere», «la gioia senza neo e senza mescolanza, la perfezione dei sogni, il fine ultimo di ogni speranza», «la magnificenza divina», essa è: il riposo indiviso. O anche: l’appagamento della possessione; io sogno che noi godiamo l’uno dell’altro secondo un’appropriazione assoluta; è l’uníone fruitiva, la fruizione dell’amore (la parola è pedante? Con la sua fricazione iniziale e il suo scorrere di vocali acute, il godimento di cui essa

Fonti:

http://tecalibri.altervista.org/B/BARTHES_frammenti.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/Frammenti_di_un_discorso_amoroso

Buona Domenica

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