René Char

Una raccolta di liriche scelte.

Tradurre René Char, di Giorgio Caproni

“Perché ho tradotto, o cercato di tradurre nonostante i rischi, René Char? Quale simpatia irresistibile mi ha spinto al tentativo – il più delle volte disperato, almeno per i miei mezzi – d’un’imitazione italiana? Dico imitazione perché mi rendo conto che una restituzione perfetta rimane sempre, quando si tratta di poesia traslata, una chimera, non fosse che per l’inevitabile usura che le parole, come le monete, subiscono attraverso il cambio. Perché, dunque? Sapessi rispondere, saprei definire la poesia di Char: che fra tutte le “poesie” da me lette ed amate in questi ultimi anni, è la più lontana dall’ “idea di poesia” che ciascuno di noi (per tradizione, per educazione, per abitudine) possiede, e la più stretta al cuore della poesia stessa, dove la letteratura o la poesia-che-si-sapeva-già non porgono più alcun soccorso al lettore, e questi, coinvolto da capo a piedi in quei bouts d’existence incorruptibles che sono i poèmes, rimane perfettamente solo a sentirsi investito d’un potere – d’interiore libertà: d’uno slancio vitale e d’un coraggio morale – che per un istante egli crede di ricevere femminilmente dall’esterno, mentre poi s’accorge che tale ricchezza era già in lui, sonnecchiante ma presente, come se il poeta altro non avesse fatto che risvegliarla, non inventando ma scoprendo; e quindi suscitando un moto, più che d’ammirazione, di gratitudine. Ho sottolineato i tre vocaboli non per ammiccare, ma perché possono essere, penso, tre piccoli sesamo, offerti dallo stesso Char. Quand on a mission d’éveiller – scrive in uno dei suoi lampeggianti aforismi, – on commence par faire sa toilette dans la rivière. [Quando la nostra missione è quella di svegliare, si comincia col lavare se stessi nel fiume.] E altrove: Celui qui invente, au contraire de celui qui découvre, n’ajoute aux choses, n’apporte aux êtres que des masques, des entre-deux, une bouillie de fer. [Colui che inventa, diversamente da colui che scopre, non aggiunge alle cose, non apporta agli esseri che delle maschere, sentieri a metà, un boccone di ferro.] Ma ancora: La poésie est à la fois parole et provocation silencieuse, désesperée, de notre être-exigeant pour la venue d’une réalité qui sera sans concorrente. Imputrescibile celle là. Impérissable, non; car elle court les dangers de tous. Mais la seule qui visiblement triomphe de la mort matérielle. Telle est la Beauté apparue dès les premiers temps de notre coeur, tantôt dérisoirement conscient, tantôt lumineusement averti. [ La poesia è, di volta in volta, parola e provocazione silenziosa, disperata, del nostro desiderare una realtà che non teme eguali. Immarcescibile. Imperitura, no; perché corre i rischi di tutti. Ma la sola che visibilmente trionfa della morte materiale. Tale la Bellezza: apparsa fin dai primi tempi del nostro cuore, ora risibilmente cosciente, ora luminosamente attento.] E infine: La poésie me volera ma mort. [La poesia mi ruberà la mia morte] E’ appunto per questa ritrovata missione del poeta come suscitatore di vita (quindi di rivolta ininterrotta: non tramite la concione in versi, secondo la più banale formula 3 dell’engagement, ma tramite la vita stessa) che nell’angustiato e depresso mondo del dopoguerra René Char – la cui opera, non esitò a scrivere Albert Camus, è quanto di più sorprendente ci abbia dato la poesia francese dopo le Illuminations e gli Alcools – è forse l’unica voce costruttiva, e vorrei dire, in senso proprio, edificante, nel cuore del generale sfacelo. E’ la voce viva e quasi magica, nourriture semblable à l’anche d’un hautbois [nutrimento simile all’ancia di un oboe], d’un datore di speranza: d’un fautore acerrimo di libertà, nel più vasto e limpido senso laico. E nel più umano. D’un umanesimo che pianta le radici nello stesso suolo d’origine del poeta (L’Isle-sur-laSorgue, Valchiusa, circondario d’Avignone, dove Char è nato nel 1907) e che trae la sua maggior forza di vivo alimento proprio dalla catastrofe della guerra e dall’oppressione nazista, duramente sofferta e ormai sfondo morale del poeta, più d’ogni altro fratello dei suoi fratelli nel cristallo del proprio amore infinito. Sfondo, insieme con quello della lucente bellezza della terra (Char ha saputo ben fare sa toilette dans la rivière: e ogni sua parola è un essere vivente, uomo o albero o fiume o trota o allodola che sia), che nemmeno nelle poesie più schiettamente amorose verrà meno, sempre espresse con un tal sentimento etico della parola da trovare pochi termini di confronto”.

(La nota è tratta da, René Char, Poesia e prosa, cura e traduzione di Giorgio Caproni, Milano, Feltrinelli, “Biblioteca di Letteratura”, 1962. Il libro riproduce integralmente l’edizione Poèmes et prose choisis [Poesie e prose scelte], Paris, Gallimard, 1957, con in più la versione completa della sezione Feuillets d’Hypnos [Fogli d’Hypnos], dal volume Fureur et Mystère [Furore e mistero], Paris, Gallimard, 1948, tradotta da Vittorio Sereni).

 

Nous n’appartenons à personne sinon au point d’or

de cette lampe inconnue de nous, inaccessible à nous qui

tient éveillés le courage et le silence.

 

Non apparteniamo a nessuno, se non al lampo

di quella lampada ignota, inaccessibile,

che tiene svegli il coraggio e il silenzio.

L’intelligence avec l’ange, notre primordial souci.

(Ange, ce qui, à l’intérieur de l’homme, tient à l’écart

du compromis religieux, la parole du plus haut silence,

la signification qui ne s’évalue pas. Accordeur de pou

mons qui dore le grappes vitaminées de l’impossible.

Connaît le sang, ignore le céleste. Ange: la bougie qui

se penche au nord du coeur.)

 

L’intelligenza con l’angelo – nostro primordiale pensiero.

(Angelo: ciò che nel profondo dell’uomo

tiene a distanza dal compromesso religioso,

parola del più alto silenzio, di un senso inestimabile. Accordatore di respiri che indora

i grappoli vitali dell’impossibile. Conosce il sangue, ignora il cielo.

Angelo: il lume

che si protende verso il nord del cuore.)

Une fois de plus l’an nouveau mélange nos yeux.

De hautes herbes veillent qui n’ont d’amour qu’avec

le feu et la prison mordue.

Après seront les cendres du vainqueur

Et le conte du mal; Seront les cendres de l’amour; L’églantier au glas survivant;

Seront tes cendres,

Celles imaginaries de ta vie immobile sur son cône

d’ombre.

 

Una volta ancora l’anno nuovo ci confonde gli occhi.

La veglia è di alte erbe che non hanno amore

se non col fuoco e la prigione che mordono.

Poi saranno le ceneri del vincitore

e il racconto del male.

Saranno le ceneri dell’amore.

La rosa selvatica

che sopravvive a presagi di morte.

Saranno le ceneri,

immaginarie, di te, della tua vita immobile

sul suo cono d’ombra.

Nous sommes écartelés entre l’avidité de connaître

et le désespoir d’avoir connu. L’aiguillon ne renonce pas

à sa cuisson et nous à notre espoir.

 

Siamo divisi tra la brama di conoscere

e la disperazione di aver conosciuto.

La spina non rinuncia al suo morso,

noi alla nostra speranza.

 

(In evidenza: Bretagne, 2004. © Bernard Plossu. Courtesy galerie Camera Obscura, Paris)

 

 

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