Il peso specifico del vuoto assoluto è zero: questo ci hanno insegnato a scuola, studiando fisica; e la fisica è una scienza esatta, dicono.
Eppure io sono pronto a confutare entrambe queste affermazioni, oggi.
Perché ci sono giorni dell’anno in cui, semplicemente, certi vuoti sono estremamente pesanti.
Stamattina, nel fare la conta dei commensali per il cenone, ho incluso automaticamente un vuoto, perché da quando ero un bambino l’enumerazione partiva da noi quattro: io, papà, mamma e mio fratello; ed era un’abitudine così automatica che l’ho fatto anche oggi, nonostante il nucleo originario sia ormai rosicchiato, ha perso un elemento e gli altri si sono un po’ dispersi.
Ci sono vuoti che pesano un sacco, capite?
Ci sono convenzioni sociali, situazioni al contorno che ti costringono a rimanere lontano dalle persone con cui più vorresti essere. Quando il mondo intorno a noi scava per creare di questi vuoti, il materiale di risulta – tutto ciò che viene asportato, insomma – va ad occupare spazi tangibili, ingombranti, in qualche altrove che poi coincide esattamente col posto in cui più vorresti essere: libero e felice.
E’ lì che vanno a finire tutti i vuoti: i regali che non hai avuto, gli abbracci che non potrai dare, i viaggi che non hai fatto, gli amici che non vedi da tempo, i sogni infranti, gli amori impossibili e quelli possibili ma lontani, la lucidità mentale che disperderai sul fondo delle bottiglie di vino, di spumante, di cicchetti su cicchetti.
Il vuoto è tutt’altro che leggero, dunque, nonostante quello che si ostinano ad affermare i fisici. Lo dico da uomo che conosce la scienza ma, ultimamente, ha imparato anche a soppesare anche le assenze.

Testo e fotografia di Manlio Ranieri

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