Quarta di copertina

«Ho rimorchiato una tipa» le disse, era per la coca, non si vantava di solito. Ma Rossana lo sapeva e lo capiva, era quello il bello. Con certe persone sai di non essere mai sbagliato.

L’amore ai tempi della droga è un modo per toccarsi senza essere realmente vicini. Amore chimico è la storia di giovani in cerca di risposte e identità, in precario equilibrio sul filo della vita.

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è possibile riprodurre in parte citando la fonte.

 

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(segue da parte 3)

LANA

LA CORSA

Ha messo la sveglia alle sette, alle nove ha lezione e alle undici deve portare i primi due capitoli della tesi al prof. Ha voglia di correre, prima di chiudersi nelle fredde aule del dipartimento di architettura.

La giornata sembra buona, un sole pigro, niente vento, le chiome degli alberi fuori dalla finestra se ne stanno immobili, in giro non c’è quasi nessuno.

Prepara il caffè, Marco è fuori per lavoro, sta ristrutturando un tetto a Crevalcore e manca ormai da due giorni. Che strano svegliarsi senza di lui.

Beve il caffè ed entra in bagno, sciacqua il viso con acqua fresca, si guarda allo specchio, non è un gran bello spettacolo appena sveglia ma può fregarsene per il momento, deve andare a correre non a una sfilata. Indossa maglietta bianca e pantaloncini grigi di felpa corti, calzini di spugna e le sue amate scarpe da jogging. Stringe forte le stringhe, beve un bicchier d’acqua e guarda l’orologio appeso alla parete, ha tutto il tempo per fare due giri e tornare a fare una doccia. Esce da casa a passo lesto, deve scaldarsi un po’ prima di cominciare a correre sul serio. Entra nel parco e alza il passo, sempre di più, in giro non c’è quasi nessuno, va bene così. Ci mette un paio di minuti prima di prendere la giusta andatura. Ormai conosce il parco a memoria, il suo percorso è sempre lo stesso e anche il suo tempo. Corre per tenersi in forma, ci tiene al suo corpo, alla sua salute. Ha fatto danza per anni, poi dopo il ginnasio ha dovuto mollare, il tempo le serviva per studiare e poi non ha mai avuto il fisico della ballerina classica. È alta un metro e sessantacinque e questo potrebbe anche andare ma è troppo… formosa, per così dire, la sua quarta di seno che tanto la rende appetibile non è il massimo per ballare sulle punte, a dire il vero le dà fastidio anche quando corre ma pazienza, il suo seno le piace. Le piacciono anche le sue gambe seppur le sembrano troppo corte, avrebbe voluto qualche centimetro in più da madre natura ma non si può avere tutto dalla vita, e poi ci sono sempre i tacchi, che Dio li benedica. Ora però i tacchi non le servono e non le serve qualche centimetro in più, ora ha bisogno solo di andare, veloce e leggera, e questo lo sa fare.

Il segreto della corsa è la perseveranza, non devi avere il fisico in un modo o in un altro, devi solo credere in te stessa ed essere pronta al sacrificio. Lei ha queste qualità.

Corre da anni, le piace, le piace sapere di essere veloce, di poter tenere dietro gli uomini che ogni tanto le ronzano attorno lì al parco. Non ha mai il fiatone, conosce il suo corpo e il suo respiro, il battito del suo cuore. Correre è conoscere te stessa in un certo senso. La padronanza di ogni movimento, sapere quando e dove posare il piede, quando aumentare l’andatura e quando rallentare.

Quando Lana corre non si sente mai inadeguata, sbagliata, nella vita ogni tanto capita, per quanto tu possa lavorare duro. Sulla strada, con le sue scarpe da jogging ai piedi è perfettamente a suo agio. Non ha bisogno di trucco, come quando esce la sera e vuol far sembrare i suoi occhi più grandi, niente fondotinta che sarebbe solo un impiccio, niente lucidalabbra, niente di niente, solo un passo dietro l’altro, al ritmo giusto. Quando corre si guarda intorno e anche se vede una donna più alta di lei non la invidia, lei è più veloce. Quando corri conta solo quanto corri.

Ora imbocca la salita che dà al laghetto e sente i suoi polpacci tirare, quando finirà la corsa farà stretching, le piace anche quello, sentire i suoi muscoli tonici che si allungano, per quel che c’è da allungare. Sorride, la salita finisce e aumenta l’andatura.

Ha portato Marco a correre un paio di volte, ma lui non ha la sua costanza e poi si sentiva sola, anche quando lui arrancava dietro di lei.

Ha capito che quando corri la solitudine non è più un problema ma quasi una necessità.

Sente il battito del suo cuore che si è fatto più veloce, avverte di sfuggita gli odori dei fiori e dell’erba tagliata, ma è un attimo, e già un nuovo odore e un nuovo scenario si porta via il precedente.

Fosse così anche la vita, bastasse passare oltre per non vedere e non ricordare. Per non fare fatica a cacciare lontano i ricordi, i brandelli, confusi, dei suoi tanti ricordi.

È il caos che le dà fastidio, riuscirebbe a tollerare tutto ciò che ha vissuto se avesse un senso chiaro, un filo conduttore. Invece solo brandelli di stoffa, variopinti e mescolati, i ricordi di lei. Le cascano addosso quando non se l’aspetta…

Si ritrova a pensare a sua madre, a un uomo che ha amato e poi perso, prima che diventasse uomo sul serio. È una questione di un attimo, senza capire il perché, solo confusione. A volte vorrebbe non avere ricordi.

Certe volte pensa di aver soffocato una parte di sé, o tante parti, quella che poteva essere e non è stata, la vita che le si apriva davanti e poi le ha voltato le spalle, per sempre. Sa che non serve a nulla rimuginare su ciò che non è stato. La farà smarrire, perdere di vista.

Com’è che diceva quella canzone?… “Ciò che è stato più non è.”

Aumenta il passo Lana, ancora di più, il vento le passa in faccia e per un attimo, un attimo, si sente davvero libera.

INVECE DI FARE LA SPESA

LANA – MATTEO

 Sono davanti allo specchio, sto per uscire a fare la spesa. Marco è fuori per lavoro.

Ho messo degli orecchini nuovi comprati stamattina da una vecchia signora. Mi piacciono, sono di Zama, con un cammeo rosso. Ho lavato i capelli, è una bella giornata, li ho finiti di asciugare al sole, sdraiata sul prato di casa. Bussano alla porta, vado ad aprire ed è Matteo.

Sono rientrato presto, mi sono liberato del lavoro che avevo da fare nel minor tempo possibile, non ce la facevo più. Fa caldo, è una bella giornata, preziosa direi, un vero spreco passarla in macchina con l’orecchio appiccicato al cellulare, o a far vedere appartamenti a ricchi e grassi signori.

Tornato a casa ho fatto una doccia. L’ho vista tornando in camera, dalla finestra dai vetri colorati, che ha fatto mettere nella mia stanza.

Al sole, in costume, sdraiata sull’erba.

Entra in casa e mi bacia, lo fa di colpo e guardandomi negli occhi. Il suo odore è buono, le sue labbra morbide. È come uno spazio azzurro, un respiro profondo.

Restiamo attaccati e non so quanto dura. Poi lui mi solleva da terra, chiude la porta, e in braccio mi porta in camera mia.

Ho un attimo, un attimo, in cui penso che è tutto sbagliato, poi come in un lampo vedo tutta la mia vita, così come è ora, per poco e quel poco che vale… Così…

Lo guardo negli occhi, ed è bello perdersi ancora, tornare a volare, sentirsi leggera.

È come se le pareti della stanza crollassero silenziose, il soffitto svanisse, e restasse solo il lenzuolo bianco… con noi due sopra.

Si muove sul mio corpo affamato, sento il suo respiro come un vento leggero su ogni centimetro della mia pelle e brividi ovunque, in parti del corpo sopite da sempre. Piano mi spoglia ed è come se i vestiti mi scivolassero di dosso.

Facciamo l’amore per ore. Con solo i miei orecchini che leggeri suonano e accompagnano i miei gemiti.

Vorrei essere un’ altra a volte,

che nessuno mi conoscesse,

niente parenti… amici…

semplicemente… dimenticati.

Niente aspettative, niente di niente.

Solo lo scorrere del vento sulla mia pelle

e quello di nuovo che porta la sera.

MATTEO UN ANNO PRIMA

JENNY

 Il telefono squillò a lungo prima che mi decidessi a rispondere. La sveglia segnava le tre e mezzo di notte.

«Pronto.»

«Matte sono Jenny, sono nei casini.»

«Vieni pure tanto ormai mi hai svegliato. Porta qualcosa da bere.»

«Grazie Matte.»

Riagganciai, c’eravamo di nuovo. Passava qualche mese al massimo e Jenny era a casa mia. Incasinata amica stravagante. Bionda, coi capelli corti e dritti come quelli di un bimbo. Magra come una falce di luna. Bisex, perennemente innamorata di donne più giovani di lei, che coi suoi venticinque anni si sentiva già vecchia.

L’ultima volta che l’avevo vista era con una ragazza di diciannove anni appena. Magari avevano strippato mentre Jenny era ubriaca.

Era la persona più tranquilla del mondo ma quando era ubriaca diventava irascibile. Non che fosse cattiva, ma poteva diventare pericolosa, con le sue unghie laccate di nero. Di mio mi divertivo quando la vedevo alzare il gomito. La provocavo, sapevo che con me sarebbe stata buona e come

raddolcirla poi, quando la vedevo troppo su di giri. Era divertente Jenny, le volevo bene.

Suonò il campanello, misi qualcosa addosso e andai ad aprire. Aveva le occhiaie, i capelli sparati, aveva pianto e rigagnoli di rimmel le scendevano appena sul volto. Era contenta di vedermi, sorrise o ci provò, mi abbracciò di slancio e mi strinse forte.

«O Comandante, per fortuna ci sei tu!»

Mi chiamava così ogni tanto, chissà per cosa. Chiusi la porta.

«Che cosa ti è successo stavolta?»

«Un gran casino» disse lei.

«Ti ho portato del Matusalem 7, dimmi che non ti conosco.»

«Mi conosci come le tue tasche, prendo i bicchieri. Sono contento di vederti. Ma sempre ‘sti orari del cazzo te? Qualche volta dovremmo vederci per colazione come le persone serie.»

«Noi non siamo seri grazie al cielo» disse lei vuotando il primo cicchetto.

«Prendi un piatto?» ammiccò sorridendo, tirando fuori dalla tasca del suo soprabito nero una bustina di cocaina già raffinata e pronta per essere tirata.

«Cosa festeggiamo?» le chiesi.

«Ho rotto con Master P.»

«Pensa un po’… Io ero rimasto a una certa Sara.»

«Amore mio!» disse Jenny pensando a Sara e poi: «A quel fottuto di Master P» con tono deciso alzando il bicchiere.

«A quel fottuto» feci io e giù un altro cicchetto.

Mi alzai e andai a prenderle quel piatto. Se notte insonne doveva essere lo fosse di bagordi, si allontanasse pure la mattina coi suoi affanni, la notte era di Jenny e delle nostre chiacchiere.

«Chi diavolo è questo Master P, ti sei data al sadomaso?» le chiesi mentre lei stendeva le raglie di coca.

«Giusto un po’, ma non fa per me, almeno non con gli uomini.»

«Ci risiamo, a te piacciono i maschi e le femmine, è inutile negare gli uni o le altre e alternare ‘sti trip bella mia.»

«Hai ragione, ma questo era proprio un cazzone di uomo te lo assicuro.»

«Magari ti piaceva per quello.»

«Oh bello! Io sono anche poesia, passione, quello era un animale, a momenti mi ammazzava.»

«Che ti ha fatto?» non ero preoccupato, era tutta intera, ma ci fosse stato bisogno avrei fatto volentieri una visita alle ginocchia di Master P.

«Mi ha spogliato e legato con una corda, ha fatto un sacco di cazzo di nodi, poi mi ha appeso a una carrucola.»

«Mm… non male però» feci io divertito.

«Sì hai ragione, e infatti mi intrigava un sacco, ma a un certo punto i nodi hanno cominciato a stringere troppo, quasi soffocavo.»

«E lui ?»

«All’inizio quel coglione pensava mi piacesse. Gli dicevo che mi mancava l’aria e lui pensava che fosse perché era grande a scoparmi. Cazzone. Nulla di personale ma gli uomini sono più coglioni delle donne.»

«Su questo nulla in contrario. Quando si fanno certi giochi bisogna stabilire una parola e un gesto convenzionale che significa basta. Ricordalo per la prossima volta. Poi ti ha liberato?»

«Sì, non finiva più di scusarsi, che non voleva perdere il controllo, quasi frignava, mi è caduto proprio guarda. Sono proprio una stronza.»

«Questo lo so. Sei tu che lo scopri ora.»

«Stronzo. Pure tu.»

«Anche questo è vero per molti aspetti» feci io divertito.

«È che, per quell’animale ho mollato Sara, le ho fatto una sfuriata assurda sulla mia voglia di cazzo, di maschio, sul suo assurdo modo di essere lesbo. A metà cazzo! Perché precludersi delle strade mi chiedo.»

«Buona la coca» dissi dopo aver pippato.

«Cazzo se è buona. Offre Master P. Gliel’ho fregata andando via.»

«Ma davvero lo chiamavi così?»

«Sì.»

«E lui come ti chiamava?»

«Dipende: ‘schiava, puttana, troia, cagna, laida, buco, oggetto, fica, culo’… me ne ha dati di nomi a dire il vero.»

Ridacchiai, non che ci trovassi niente di assurdo, ero sempre stato per la più totale libertà nel reciproco consenso, la sessualità è una parte così libera e privata di noi che non merita legacci. Meglio metterli attorno ai polsi i laccioli se proprio si vuole.

«Ti sei divertita insomma.»

«Sì. Ma a parte che lui è un coglione mi manca Sara. Le cose intime e dolci tra noi.»

«Torna da lei allora.»

«La fai facile. Dopo quello che le ho detto. Me ne sono andata sbattendo la porta e urlandole addosso.»

«Per me ti riprende. Io non lo farei. Ma lei ti riprende.»

«Stronzo, e dai!… Perché? Perché tornerebbe con me secondo te?»

Mi guardava con i suoi occhi azzurri, come se potessi davvero darle delle risposte.

Le uniche risposte sono quelle di cui abbiamo bisogno, per ritrovare poi soli la strada.

«Perché sei bella, e a quello che dici a letto sei una favola. Io non ho mai provato ma mi fido di quello che mi racconti.»

«E dai!… Non è che vuoi provare uno dei miei pompini vero?» disse divertita mentre giocava con una ciocca dei suoi capelli.

«Lascia stare non vorrei slogarti la mascella.»

«Che stupido che sei.»

«Dico sul serio» continuai io «sono cose che contano e poi tu hai più esperienza di lei, te la metti in tasca».

«È matura però per gli anni che ha.»

«Sì ma ha sempre gli anni che ha, e poi non ha l’esperienza di vita che hai tu. È stata in meno posti, ha conosciuto meno persone. È lei che ha da guadagnare di più nella vostra relazione.»

«Lo pensi davvero? E com’è allora che mi manca tanto? Sento di non poterne fare a meno.»

«Quello è perché sei passionale, viscerale oltre che cerebrale. Anche per questo sei così estrema e lunatica. Se è intelligente come dici  capirà anche i tuoi colpi di testa e le tue sfuriate.»

«Speriamo Comandante. Alla tua» disse alzando il bicchiere.

«Alla nostra» le risposi.

«Alla nostra» fece eco lei e brindammo.

Ero al terzo rum ma la coca lo faceva scendere giù con disinvoltura, ero sveglio, lucido, ma cominciavamo a essere troppo accelerati, mi alzai per prendere dell’erba e fare una canna.

«A te Matte come va invece?»

«Ah lascia stare, anche io sono un personaggio.»

«Siamo tutti dei personaggi. Visto da vicino nessuno è normale» disse Jenny sorridendo.

«Toh qua» feci lanciandole la ganja.

«Fai una canna che metto su un po’ di musica.»

«Metti Vasco?…Dai!»

«Che vuoi Jenny è pazza?» le chiesi.

«No metti Fegato fegato spappolato.»

«Se continuiamo a bere così ce lo spappoliamo davvero il fegato.»

«Vasco riesce a prendere un dolore e racchiuderlo in due minuti, quello che dura una canzone, è come se lo rendesse meno duro, più malinconico forse, ma più semplice» disse stendendo le lunghe gambe sul tavolino e sprofondando di più nel divano.

«La maggior parte delle cose sono semplici» dissi io non del tutto convinto.

«Siamo noi che tendiamo a complicarle».

La musica cominciò a girare.

Piccolo… spazio… pubblicità.

Continua…

( parte 1) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-1/

(parte 2) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-parte-2/

(parte 3) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-3/

(parte 4) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-4-2/

(parte 5)  https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-5-e-link-a-precedenti/

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(parte 8) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-8-e-link-a-precedenti/

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(parte 12) https://www.colorivivacimagazine.com/?s=amore+chimico

Copertina credit photo Giulia Bersani photography

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