Ricordo digitale del carso

che affiora,

il tuo corpo nudo:

ocra rappreso

su volte di cotone

e tra piramidi d’organza.

Spingevo le dita

nella terra,

trapunta d’orbite

come un cielo a rovescio:

tane di vipera

sul crinale della memoria,

velenose

come il tuo mistero.

Caldo e umido letto

per le falangi

e paura del non ritorno.

Quelle crepe incise nell’argilla,

come te,

dura e friabile:

i solchi dell’epidermide

che seguo con l’indice

fino alle labbra.

E l’erba rada

che bevo

lungo la dolce frana

del tuo ventre,

mentre il carso si contorce

e sgretola,

tra queste ruvide mani

d’artigiano che trema.

Amando i declivi sinuosi della tua terra.

Come la prima volta

l’odore dei pini marittimi.

Delia Cardinale

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