TEORIA DELLA MUSICA

La musica è una questione viscerale.

La si studia, ci sono regole, analisi, teorie, solfeggi, scale, alterazioni. Tutto è scritto e codificabile.

Eppure quando la ascolti i pentagrammi si smaterializzano dalla tua testa, perdono forma e consistenza, si spogliano di ogni più elementare regola armonica.

So riconoscere una melodia originale da una banale, un giro che si attiene ai quattro accordi della sequenza armonica da uno che si sforza di ricercare il colpo a sorpresa. So riconoscere un musicista tecnicamente valido da uno che s’improvvisa tale. Mi rendo conto facilmente di quanto un arrangiamento sia stato già abusato nella storia della musica e di quando, invece, chi l’ha pensato ci abbia dovuto ragionare un po’ su.

In particolare, in un brano pop, so riconoscere la validità di un testo, la ricercatezza dei termini e delle figure retoriche usate: le parole, in fondo, sono il mio mestiere.

Tuttavia nella maggior parte dei casi ci sono ingredienti che non rispondono a queste regole: basta una voce dal timbro accattivante, un giro di basso irresistibile e una chitarra col suono giusto e tutto crolla.

Qualcosa ti penetra attraverso la corazza, come la lama di un coltello che affetta burro, e non ci sono più analisi critiche che tengano: quella canzone ti conquista e non puoi fare altro che arrenderti.

Ti infili le cuffie e te ne vai in giro per la città, da solo – con l’opinabile scusa di avere qualche servizio da sbrigare – nel crepuscolo di un pomeriggio autunnale. Ti sembra quasi di levitare a qualche centimetro da terra: la cruda consistenza del marciapiedi non ti riguarda più. Ti muovi veloce in mezzo a una frotta di gente che ti viene incontro, a volte ti urta con la spalla, a volte ti evita come se avessi qualcosa di strano.

Ti sembra persino possibile ripassare da quel posto, quello che eviti accuratamente da un mese, quello che ti fa male con i suoi ricordi taglienti.

Sì.

Ce la puoi fare.

Affretti il passo e in un baleno – il tempo di una strofa – ti ritrovi a costeggiare quello slargo; lanci un’occhiata a quella panchina e sorridi.

Sì: sorridi.

Poi passi avanti.

In cuffia hai la tua forza, la tua pozione del druido di Asterix, la tua voce a metà strada fra il baratro e la speranza che ti canta con note melodiche:

I don’t think that it’s

gonna rain again tonight.

 

Registri mentalmente queste parole e guardi il cielo: scorgi persino qualche stella, nella luminosità lattiginosa della città.

Non pioverà, stasera.

Puoi sorridere, infilare la mano nella confortante morbidezza ancora tiepida delle ceneri spente e trovarci una piccola sorpresa.

More and more people

I know are getting ill

Pull something good from

the ashes and be still

Tira fuori qualcosa di bello dalle ceneri e fermati. Fermati a guardarlo, a contemplarlo.

Fermati ad ascoltare questa canzone.

Fermati.

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This work by Manlio Ranieri is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International License

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