Per la prima volta la detesta. Una donna bellissima, addormentata nel suo letto da qualche mese, immaginata come il bocciolo di un fiore raro che prima o poi avrebbe spiegato petali d’ambrosia. Un mito fatto carne quel corpo in deliquio, languente di desiderio consumato fino all’ultimo fremito di cosce. Nervi tesi, adesso. Dopo la telefonata. “Te lo volevo dire perchè sei mio amico”: le ultime parole che si ripetono nella scatola cranica, all’infinito. E lei dorme mentre la sua rabbia monta dalle viscere come magma inarrestabile. Vorrebbe davvero stringerle la gola fino a toglierle il respiro. Come ha potuto? “Puttana”, pensa. Ci aveva creduto dopo secoli di disincanto. E i lilium bianchi? La vie lumiere de Paris? Le cene, i cioccolatini, le corse in autostrada, il cucchiaio notturno? Lei sul fianco e lui intorno a contenerla. Cavo e convesso. Frutto e conchiglia. Aveva addirittura comprato un letto a due piazze, costringendosi alla prospettiva di coppia. Lui così cinico e solipsista. Un figlio della Boheme fatto per gli eccessi; funambolica vita d’artista che trovava nel tormento motivo di vanto. Poi è arrivata a lei: l’ordine. Non è sicuro di averla scelta, ma si è trovato addosso la camicia di forza della sua presenza. Innamorato senza la cognizione di averlo mai deciso. È così bella, anche se lui direbbe proporzionata, armoniosa. I suoi modi poi, quanto di più opportuno si possa immaginare. Non ha mai bussato alla porta del suo studio: quando lui dipinge vive un altrove irraggiungibile che, come per il trance dei sonnambuli, è pericoloso interrompere. Lei lo capiva, gli lasciava i suoi spazi. Lei lo ascoltava, gli sorrideva, sapeva ricucire le sue ferite immaginarie, perdonare i suoi sbagli. Ma gli aveva mentito. Il pittore guarda la sua musa sputando a terra. Cerca il whisky vecchio di non sa più quanti anni. Sarà in qualche cassetto o dietro tele riposte a casaccio per la casa, prive d’estro. La vergogna dopo una fede tradita è alienante. Grossi sorsi che bruciano la gola e l’anima. Fosse almeno veleno, pensa, sarebbe l’ultimo spasmo di dolore. Non vuole tornare in camera, a pagare col sonno il tradimento. Prega per lei il quinto girone dell’Inferno, per se stesso la Caina. Si sente un assassino adesso, con gli occhi rossi di pianto. Eppure l’ira cede il passo ad un profondissimo dispiacere. “Perchè?” Vorrebbe gridare ma l’atrocità del vero nega l’espressione. Un gorgo impietoso frantuma tutta la bellezza che credeva di possedere.

“Ti ho creata io, come questi quadri. Eppure mi sfuggi. Ti ribelli al colore e al pennello perchè non basta la mia tela alla tua fame. Opera ingrata, donna bugiarda. Ti ho dato io il potere di starmi accanto, tutti i contorni. E adesso fai del mio amore un trampolino per saziarti d’altra arte”

Gli occhi beffardi della donna trafiggono il pittore da tutte le pareti. Ritratti di Giuda ovunque in quella casa. Ma lui non vuole morire. Ci è passato così tante volte. Lei non è diversa dalle altre, il discrimine è stata la parvenza. Attrice eccellente, pessima amante. Sarà come sempre lentissima l’elaborazione del lutto. Ci saranno altre piccole iene là fuori, lo sa. Immolarsi alla vita è l’unico modo. Ha già fatto della sofferenza l’unica amica, tempo fa: non esiste niente di più democratico. Ultimo schizzo al carboncino dell’ennesima donna a cui volterà le spalle- sempre più curve. Ma niente è come prima. Lascia il disegno sul comodino, accanto a lei. Nessuna idealizzazione: nero su bianco il ritratto di un mostro. Esce di casa camminando lentamente nella notte. Ci sarà un bar aperto, spera. Si spengono i lampioni al primo vagito dell’alba.

Delia

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