Ritorno alla campagna riarsa: natura al giogo amorevole del contadino, trapunta d’oro e smeraldo…affondano i sandali nella terra di mio padre, arata di fresco, aspersa di un vago profumo fungino…sul dorso del campo gli olivi contorti: braccia rugose che si annodano al cielo crema del mezzogiorno…scirocco di fine luglio, lucertole verde fango, eco di campanacci lontani… e nessun altro rumore, se non di cicale, ronzii d’api e mosconi o arcani fruscii di vita in alcova…Lenti i passi tra i filari dell’orto, seguendo il volo delle cavolaie…occhipinti, fiori di zucca, pomodori a grappoli, rampicanti su strutture di legno dai fiori viola con due petali, minuscole ali di tortora… verso i calanchi coperti di macchia un falco equilibrista nel vento, re solitario di un regno impalpabile…

Invitto il sentire nella contemplazione di un formicaio o dei solchi irregolari di un quarzo grezzo, nessun pensiero avvince la calma, non c’è posto per incrinature nella mente prona sui moti della percezione…solo sensorio rapimento, estasi tattile e visiva…

Poi Nidal mi corre incontro, a risvegliare la parola, a ricordarmi l’umanità… ha scelto quel campo per vivere, deciso di proteggerlo come fosse suo… mio padre l’ha chiamato e lui ha lasciato la fresca benevolenza del ciliegio, per salutarmi. Nidal è comparso da queste parti circa tre mesi fa, da solo. Era un cucciolo e i proprietari dei campi hanno iniziato a dargli qualcosa da mangiare. Si chiamava Nuvola, all’inizio; poi si capì subito che era maschio e la ragazza ungherese della fattoria di fronte, l’ha chiamato Nidal. Il cagnolino, tra tutti i campi, scelse questa terra e appena sente la nostra vecchia auto sul vialetto, si affaccia da uno dei suoi nascondigli. Non si avvicina mai senza invito, guarda da lontano chi varca il confine del campo, drizzando le orecchie, attento che nessuno strappi via le piante di mio padre. Fa la guardia, a suo modo, e se dovesse avvicinarsi un altro cane gli ringhia contro, lo caccia via. Spesso mio padre dimentica per terra i suoi guanti da lavoro e Nidal glieli riporta. Non è mai stato addestrato eppure dà la zampa. Una volta corse verso una bambina per giocare e lei si spaventò tantissimo vedendolo arrivare; il nonno si parò davanti a Nidal con una mazza e lui invece di scappare si accucciò ai piedi dell’uomo scodinzolando e posò una zampa sul suo ginocchio. Sembrava volesse dire “Sono buono, non picchiarmi”. In effetti non ha mai aggredito nessuno: l’ho visto addirittura prendere tra le fauci un gattino per portarlo all’ombra e giocarci dolcemente. Mio padre non vuole addomesticarlo, mettergli il collare o chiuderlo in un recinto. Il massimo rispetto per la sua natura è lasciargli la possibilità di scelta: restare o andare via dipende solo da lui. Può così correre per le valli, avvicinarsi ai passanti, scavare buche o trovarsi una compagna. La potenzialità è l’essenza di ogni azione: Nidal non ha mai avuto limiti, regole o costrizioni, fa la guardia a quella che considera casa sua e aspetta ogni giorno non il padrone, ma un amico. Nidal sarà sempre un cane libero.

 © Delia Cardinale

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