Certi verdi ispirano i discorsi più sensati.

Sul verde ho sempre scritto e scriverò fino alla tomba per la foresta di simboli che ci ho piantato intorno. Ma come tutti i colori anche il verde ha i suoi modi. E sfumature, diatesi, tempi e numero.

Il verde di cui voglio scrivere è voce del cosmo, modo boscoso, infinito eterno, impersonale plurale.

Quel verde lì, quello a cui dobbiamo i respiri.

E c’era un fiume cristallino, com’è ovvio che sia. Alberi accesi, rupi scoscese, edere spioventi, bisce striscianti, sassi scorrevoli, muschi scivolosi, sussurri ventosi…e tante altre cose con la esse.

Perché, come sappiamo tutti, questo modo di verde usa spesso frasi con la esse.

E questo verde ispira discorsi sensati.

È capitato che nel verde si parlasse di semplicità.

Una persona molto saggia, con cui diversi anni fa servivo ai tavoli e disegnavo cotenne e parlavo di longuette e maiali tibetani di nome Filomena e che, devo assolutamente scriverlo, ho sempre stimato profondamente, mi ha aperto una specie di finestra dentro:

si sa che le parole hanno poteri magici.

Specie quelle nel verde.

Lei mi ha parlato della semplicità. Una parola così chiara e luminosa, ma non altrettanto circoscritta nel significato. Sono giorni che cerco di scrivere qualcosa sulla semplicità non facendo altro che complicarla. Milioni di concetti aggrovigliati e virgole fuori posto, panegirici e filippiche, immagini intraducibili, ibridi filosofici da cortocircuiti sinaptici, calligrammi a forma di otocione, invenzioni assurde in versi sciolti, dissertazioni fatte di starnuti.

Ho pure inventato una nuova scienza: biologia applicata alla luce artificiale. Ma neanche questa idea, che all’inizio mi è sembrata così geniale, accanto alla psicologia sociale e all’analisi dei sistemi, si è minimamente avvicinata alla semplicità che la persona saggia ha espresso perfettamente, nel verde e usando molte parole con la esse. Neanche mangiando il Devotoli ci sarei riuscita, neanche catturando una raganella, come ho fatto pensando che fosse una cosa semplice.

Allora ho pensato che la semplicità è qualcosa di intuitivo e soggettivo.

Ma questa definizione non è molto soddisfacente: lei mi ha detto che la semplicità si costruisce. L’ha detto e dimostrato con esempi tratti dalla sua vita, in modo inconfutabile. E gli esempi tratti dalla sua vita sono applicabili al 90% della popolazione occidentale.

Una maglietta gialla è caduta dal tronco su cui l’aveva poggiata nell’esatto momento in cui parlava dei modi in cui la gente si complica la vita. Il vento suonava le foglie in modo marziale, mentre lei scorreva un elenco potenzialmente infinito di comunissimi comportamenti umani votati all’intrico. Molti li ho riconosciuti in me, altrettanti rispondono ai più comuni e prevedibili meccanismi psicologici. E lei continuava a ripetere che non riusciva a capire perché la maggior parte delle persone sceglie di trovarsi in casini megagalattici. Perché si sceglie sempre, in qualche modo. Gli ambiti in cui questo accade sono molteplici, ma di sicuro quello più rappresentativo è il rapporto con gli altri, specie di natura amorosa.

Su questo punto l’aria era improvvisamente ferma.

Su questo punto, il mio universo emotivo, scoprendosi profondamente cinico e confuso, si è deciso a un santissimo ascolto.

La persona saggia ha parlato ancora di costruzione. Ma anche di volontà e sacrificio: tutto questo per la semplicità. Era un discorso incantevole che riuscirei forse a ballare, ma non a scrivere. O perlomeno, non come l’ho assorbito.

La domanda periodica da farsi è: ne vale la pena? Tutto questo tendersi e venirsi incontro e dire sì e dire no e mediare e ridere e piangere e dare e desiderare, condividere, lasciar scorrere, tutto questo spendersi, lottare, addensarsi, rarefarsi, perdere, vincere, evaporare…  ne vale la pena?

E la risposta dovrebbe essere: assolutamente sì.

Dirsi questo ogni volta, secondo verità, centimetro dopo centimetro lungo un percorso condiviso.

La semplicità è molto costosa.

La semplicità non è qualcosa che si trova per caso, in un parco del centro città, sotto la scrivania, in qualche tasca dimenticata o al bancone del bar.

La semplicità è costruzione della semplicità.

Ha qualcosa di verde e qualcosa che comincia con la esse.

Il modo di verde che ci ha ospitate ne ha di storie da raccontare, ma in fondo credo che non gliene freghi niente.

Ci porta di fronte a noi stessi e non lo sa.

Il bello è che non lo sa…

Delia Cardinale

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