Buio questo stare informe nella stretta anonima del gesto sospeso a gemere di parto nell’oculato scorrere sulla fibra amata che rimbalzerà volute di fuoco, di ghiaccio, chissà, nei cavi di magma di battiti in attesa.

I profili slabbrati come abbozzi di nome, respiri sgraziati di premature completezze saranno corpo nell’anima a fiotti.

Eccolo, il fremito imprevisto, ora proprio ora, che mi accalora, mi squaglia mi dà spinta a fluire verso la soglia schiusa del talamo che mano sfiorerà in cerca di germogli odorosi di ragioni lontane, dolori allo specchio, bagliori di senso. O magari nulla, solo sequenze di nero a riempire frammenti di mondi indifferenti o già saturi di avventi conclusi o eccedenze, escrescenze di fraintesa bellezza nata già morta.

Sì, in ogni caso sarò nell’aperto che aggiunge spirito e poi piano materia e corpo al fare farsi grandioso del tutto e sarò memoria in ciò per ciò che non avrà più bisogno di me. Potrò perdermi nell’oscurità, senza rimorso o rimpianto, senza che alcuno abbia mai saputo di me e delle stanze preziose che andai ad abitare, potrò lasciare lasciarmi e ritrovarmi bambino pronto alle età che chi mi crede vorrà darmi da amare. Potrò, potrei.

Resto nel cantuccio, il punto che si lega agli infiniti contigui a onorare servire il regale corso del mondo, l’angolo cieco dello sguardo che umile ritiene nel silenzio i possibili moventi, tra rinuncia e invocazione.

Uno scritto di Giovanni Gammariello nel corso di scrittura on line Chiaroscuro Vivace, condotto da Antonella Petrera per Colori Vivaci Magazine.

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