E ci ritroviamo compressi riscoprendoci tartarughe, eppure ancora vivi nell’inessenziale, portandoci tutto dentro e addosso e pensando che si può vivere anche così. Il punto cruciale è come: si apre  la variegata casistica di reazioni umane alla prigionia coatta.

Entriamo, in medias res, nel labirinto degli specchi. Ridotti e amplificati a seconda di dove guardiamo.

Tutti i cuniculari irrisolti che abbiamo spolverato via, tornano ostinatamente a posarsi tutt’intorno. Sappiamo conviverci veramente?  Ci ridiamo su a braccia conserte ricordando la nostra preistoria emotiva con tenerezza? Nella maggior parte dei casi, no. Non lo sappiamo fare.

Ci mancano anche i morti da anni che non facevano più la differenza.

Venuta meno la distrazione di massa, ci sentiamo soli, annegando in tutti quei “se” e quei “ma” che non avremmo mai risollevato dai fondali. Inutili al presente forsennato, dilaganti al manifestarsi di un qualche vuoto. Pieni di buchi ci scopriamo groviere e la prima comune preoccupazione è che gli altri non se ne accorgano.

I social networks affollati da un oceano di cazzate: parti cesarei dal grembo cinereo della noia. Faccio sport un’ora al giorno, ho iniziato a leggere Tolstoj, mi sto dedicando alla cucina: tutto molto costruttivo. Il bisogno di dirlo al mondo, o a una parte del nostro mondo ossessivamente, nasconde forse l’unica cosa su cui c’è da riflettere.

Certo, riempire il vuoto a colpi di lima per unghie, Netflix o cheescake credo sia un modo adeguato per affrontare la situazione: dedicarsi alle piccole cose, a tutte quelle attività che non abbiamo mai avuto tempo di coltivare. Sbandierarlo, aver bisogno di mostrare a tutti i costi quello che facciamo, quello che ascoltiamo… è come se non stessimo coltivando realmente il nostro tempo. O è come se lo coltivassimo superficialmente per uno scopo al di fuori di noi. E scrivo ovviamente, della condivisione digitale compulsiva. Scrivo del pressante bisogno di approvazione. Scrivo dell’incapacità di convivere con noi stessi e con le nostre scelte.

Non mi propongo di affrontare la questione SARS-COVID19 in termini economico-politici, ma di proporre uno spunto di riflessione per il microcosmo individuale. Il modo di vivere le relazioni umane è cambiato e, certo, non eravamo pronti.

Ma la vera domanda è: chi siamo noi oltre gli altri? Noi solissimi, tra quattro pareti…noi senza fidanzati, parenti, società reale? Chi siamo nel labirinto degli specchi?

Il nostro equilibrio interiore è dovuto davvero al percorso di vita, alle esperienze, agli sbagli, a tutto ciò che noi, nella nostra finitezza individuale, abbiamo costruito o distrutto? Certo, si vive in contesto, sempre. Ma ciò che ci serve capire, in questa situazione unica, è se siamo dipendenti dal contesto. Specie dal contesto umano.

Non voglio entrare nell’ambito dei problemi lavorativi che ci hanno travolto e reso nervosi o instabili, ma nell’ambito del modo in cui reagiamo alle cause di forza maggiore. L’imprevisto, per alcuni tragico, per altri non poi così grave rispetto a tante altre situazioni umane…l’imprevisto, cosa rivela di noi?

Quanto è solida la nostra barca, fatta di scelte, consapevolezze, gioie e dolori, nel mezzo di un oceano sconosciuto? Il famoso “buon viso a cattivo gioco” non è solo un proverbio. La resilienza non è un concetto da post. Ripensare a situazioni del passato è giusto e saggio: abbiamo il tempo di farlo. Rimettere in discussione situazioni vissute, che non si vivono più, anche. Rendere tutto questo scelta operativa, decisamente azzardato.

Torneremo dov’eravamo con occhi diversi, ma non basta qualche mese di iperpensiero per cambiare il vissuto agito.

Ci sono eccezioni, come ad ogni grammatica. Ma la statistica batte la rarità 1000 a 1, la dobbiamo smettere di sentirci così speciali.

Spero, a questo punto, in una grande lezione di umiltà nel microcosmo come nel macrocosmo. In fondo, basta una piccola entità biologica a stravolgere l’economia mondiale, gli equilibri della politica e un mondo interiore.

Ritroviamoci più umili e veri per quando torneremo per le strade, per quando torneremo a condividere.

A condividere veramente.

Delia Cardinale

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