Del come la città e l’interazione tra persone cambino i parametri di giudizio e distribuzione della bellezza. Ecco come avremmo dovuto intitolare questo pezzo che nasce ora come racconto di una storia appena successa. Era troppo lungo. Cominciamo.

Signora! Signora ma che fa! Scusi, ha appena deliberatamente infilato un bicchiere di plastica nella siepe del rosmarino, invece che buttarlo in questo cestino a dieci centimetri da lei?

Torno con in spalla le mie scarlatte buste di cotone dal supermercato e la mia indignazione si minestra all’incredulità davanti a una vecchina con i capelli grigio-topo (la stessa tinta che sceglieva mia nonna) che dopo tale misfatto sembra voglia fuggire via. Mi avvicino. Il desiderio di dialogo e di una risposta non mi stanno più nelle tasche, nella testa, nei pressi dello stomaco, di fronte a un parco che ho sempre amato e che vedo da più di una stagione morirmi sotto gli occhi malato di incuria e amministrazione indifferente.

Nooooo, signorì, non hai capito!

Comincia il suo racconto, ed ecco che il panorama di palazzi, campanile, crocifisso e di pezzo di campagna oltre il muretto, diventa più largo gradualmente, come se gli occhi emotivi si espandessero a destra e a sinistra, come se i venti del paese (maestrale, oggi, tempo da bucato) si mettessero tutti d’accordo per soffiarti nel naso e farti respirare aria pura a forza, come se la catarsi dai libri di filosofia si sbriciolasse e diventasse il pepe con cui puoi condire una fetta di nuova visione del tuo mondo in un giorno qualsiasi.
In effetti non mi accorgo che questa prima esclamazione mi arriva dalla vecchina mentre la sto praticamente inseguendo intorno ai mattoni del sentiero (no, gialli no, peccato, ma sono di un bel marrone gessetto-colorabile in primavera).

Signorì, ogni volta che io faccio il giro del parco metto dentro al bicchiere una foglia (in effetti aveva in mano un ramoscello fogliuto di qualcosa), ché io mi dimentico quanti giri faccio. Mi confondo e non mi ricordo. Se dentro al bicchiere trovo dodici foglie vuol dire che ho fatto sei chilometri. Che io sei chilometri devo fare.

Mi accorgo di essere a pochi passi dalla casa di riposo per anziani, che lei ha le scarpe da ginnastica, le unghie smaltate e che io la sto disturbando mentre compie un rito normalissimo per lei. Le mie educatissime incredule scuse trovano spazio dentro il suo sorriso che si allontana.

Buona giornata, signorì. Non ti preoccupare, che poi lo tolgo il bicchiere.

Se non avessi colto l’occasione di indignarmi non avrei compiuto questo incontro. Se non avessi voluto bene a quest’angolo di città non avrei preso a voler bene anche alla mia anziana concittadina. Se non avessi dialogato non avrei potuto meravigliarmi di nulla.
Quando l’indignazione diventa vivace sa trasformarsi tutto il resto. 
E poi mi ha chiamata signorì. Credo che tornerò a trovarla.

Foto: Chezbeate on Pixabay

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