Ricordo perfettamente il momento in cui mi ha raggiunto la notizia del suicidio di Chester Bennington: era il tramonto, ero in riva al mare a bere una birra. Non seguivo più i Linkin park da tempo, eppure poco più di dieci anni fa sono stati fra le band più presenti nelle mie playlist che, al tempo, si chiamavano ancora compilation. Forse è stato per quel motivo che il mio commento si è limitato a un gelido “sono sopravvissuto alla morte di Kurt e di Chris, sopravviverò anche a questa”.
E, infatti, sono ancora qui.
Eppure ogni volta che succede non posso fare a meno di pensare che il prossimo potrei essere io, di pensare – insomma – allo stupido destino di quelli a cui la vita ha dato tutto, ma nonostante questo proprio non riescono ad andarci d’accordo.
E’ per questo che oggi, un tramonto di un anno esatto dopo quella notizia, quando vado a correre in riva al mare mentre il sole vi si tuffa – e il solo fatto di potermi permettere di farlo, fa di me un privilegiato – ascolto il primo, glorioso album dei Linkin park e penso a Chester, a Chris, a Kurt e, soprattutto, a Ian: il primo, il mio prediletto, quello a cui mi sento legato a doppio filo, nonostante l’abbia conosciuto solo quand’era già morto.
E poi penso agli occhi vitrei di Josefa, e alle braccia lunghe e possenti di Marc Gasol, il campione della NBA che ha scelto di trascorrere le vacanze aiutando gli altri volontari a tirarla fuori dall’incubo liquido. Forse – mi dico – è questo che manca ai frustrati insoddisfatti come noi: fare qualcosa di realmente concreto per gli altri, oltre che pensare solamente alle nostre stupide vite, a difendere e fortificare gli orticelli sterili intorno alle nostre casette borghesi, come fossero il parco della Reggia di Caserta.
E allora mi dico che un giorno, invece di fare la fine di Chester – che continua, tuttavia, a meritare tutto il mio rispetto – mi troverete in qualche regione remota dell’Africa, munito solo di buona volontà e, in aggiunta, una Reflex e un taccuino, perché raccontare non fa mai male.
Sole basso, sudore sul petto, sulla fronte, sui capelli, adrenalina e testosterone in circolo, posso finalmente urlare – insieme a Chester – “You, tryin’ to take the best of me, Go Away!”

Testo di Manlio Ranieri

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