Arrivai a bordo della mia Ape gialla, guidando a zig zag. Adoravo guidare così sui rettilinei sterrati. Scorsi mio nonno seduto di spalle su uno scoglio. Lo riconobbi subito dalle nocche nodose e piene di efelidi. Ce n’era una in particolare che mi faceva impazzire. Era a forma di cuore sull’anulare. Non aveva mai indossato la fede, a lui bastava quel cuore. “Raggiungimi alla Terra Rossa” mi aveva detto al telefono quella mattina. Concentrata sulle sue mani non mi ero accorta che su ogni scoglio aveva posato un paio di scarpette rosse. Le riconobbi subito. Facevano parte della collezione di scarpe della nonna. Guai a chi gliele toccava! “Dove vai nonno?” “Devo andare. Mi sta aspettando. Non le trovavo più, sai? Poi ho capito. Me le ha fatte trovare lei qui”. Mi salì un forte nodo alla gola. Volevo abbracciarlo. Non ci riuscii. Vidi ancora le sue nocche nervose. Le rilassò. Aprì la mano: la chiave! “E’ tuo! E’ sempre stato il “nostro” rifugio. Ora voglio che sia la torre dei tuoi pensieri, dei tuoi ricordi, delle tue riflessioni. Sai, da lassù è tutto diverso. Ora vai! Promettimi di non voltarti. Vai, ti ho detto VAIIIIIIII!!!!” Incominciai a correre, ma non mantenni la promessa. Mi voltai e lo vidi seguire la traiettoria delle scarpe sugli scogli, fino a quello più prospiciente, l’ultimo. Un tonfo sordo. Non raccontai mai nulla a nessuno. Aprii la porticina rossa e salii lungo la scala di conchiglie. Udii il respiro delle onde danzare le note di un tango, scandito da fasci di luce. L’intermittenza fu riempita dai flash di quei passi sulle scarpette rosse. La notte tardava ad arrivare, così com’era intrisa di salsedine e ricordi. Accarezzai tutte le fototessere con cui aveva riempito la stanza dei silenzi. “Vedi? Rappresentano tutti la luce materna della terra. Non sono semplicemente punti di riferimento. Sono rifugi dell’anima. Ho visto passare tante vite da qui. Ho visto le mani intrecciate di due uomini prima di annegare i pregiudizi. Erano immobili e guardavano fisso il cielo. Avevo perfino paura di respirare per non spezzare quell’incanto. Ho sentito i loro respiri affondare nelle onde del sollievo. Ho visto giorni e notti di quiete e di tempeste accarezzati dai fasci di luce che tagliavano il vento. Ho visto dipingere nei miei occhi cirri giganteschi che cambiavano colore agli impulsi di luce. Prima erano giallo oro, poi diventavano distese di lavanda”. Non so per quanto tempo rimasi sospesa nelle poesie dei suoi ricordi. Accarezzata dal vento di scirocco, chiusi gli occhi e vidi il mare riempirsi di scarpette rosse. Sentii i suoi passi, prima lenti poi concitati. Ecco-mi dissi- sono insieme finalmente. Quella chiave è sempre con me, poggia sul mio cuore. Mi basta sfiorarla per abbracciare il mio segreto. Ci ritorno ogni anno, da sola. E’ il mio segreto. E’ il mio sogno, perché ci vogliono i fari per sognare.

di Stefania Armentano

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photo: Anna Morosini

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