Il problema è il sistema.

È lì che bisogna agire, scardinare, lottare, persino contro noi stessi. Se è vero che il 10% della popolazione mondiale detiene l’85% delle risorse, il problema principale è che il restante 15% non potrà mai bastare per la stragrande maggioranza dell’umanità.

Dobbiamo liberare quell’85% dalle grinfie di chi lo possiede, lo tiene stretto e fa di tutto per incrementarlo.

Sento spesso politici di sinistra ed esponenti della cittadinanza attiva, del popolo, che parlano di stabilità del lavoro, di pensione, di dritto a un tetto e a cure sanitarie; desideri sacrosanti, ovviamente, aspirazioni giuste: si tratta della tutela minima che lo stato dovrebbe garantire ai cittadini. Però quel che capisco è che quella piccola fetta di benessere che risulta disponibile, una volta tagliato via il famigerato 85%, non può bastare a garantire questi diritti a tutti. E allora viene da chiedermi: d’accordo, una volta che avremo ottenuto tutto questo, che ne faremmo? Io temo che diventeremmo tutti ingranaggi perfettamente oliati del sistema, animali domestici appagati e castrati, senza più lo stimolo selvatico che ci apparteneva per natura.

Riflettiamo su un punto fondamentale: in tantissime famiglie occidentali lavorano almeno due elementi adulti, magari per dieci ore al giorno, col risultato che il tempo che avanza, già esiguo, va diviso tra i figli e qualche interesse che serva a dare un senso a tutto. Insomma: non abbiamo più brandelli di tempo per coltivarci un orto in casa, per preparare cibi genuini con le nostre mani, spesso siamo persino costretti – o, quanto meno, fortemente invogliati – a non fare neanche più le pulizie in casa o a lasciare i figli a un baby sitter.

Insomma: ci cibiamo sempre di più di cibo industriale, facciamo acquisti da internet in misura sempre crescente, l’ortofrutta la compriamo all’ipermercato – magari anche di domenica – ci spostiamo troppo in macchina, consumando petrolio, ci vestiamo da grosse catene che producono in capannoni fatiscenti del Bangladesh, dove nessun diritto civile ha mai varcato la soglia, acquistiamo molta più elettronica di quella che ci servirebbe, anch’essa ormai monopolizzata da quattro o cinque marchi e venduta quasi esclusivamente nei grandi store: tutte abitudini di vita che contribuiscono ad accentrare la ricchezza in gruppi sempre più ristretti. Se ci muoviamo in questo solco non avremo fatto altro che assecondare il sistema. Può anche darsi che qualcuno di noi ottenga qualcosa di ciò che cerca, qualche tutela minima – un contratto a tempo indeterminato, una pensione dignitosa – ma nel complesso avremo perso tutti. Tranne quel 10% di cui, credo, nessuno di noi fa parte.

Ve lo ricordate lo slogan dei movimenti di lotta operaia “lavorare meno, lavorare tutti”? Quanta saggezza c’era in queste parole? Badate bene: lavorare meno, forse, significherà anche guadagnare meno soldi, ma, sul versante opposto, guadagneremo tempo, manualità, voglia e necessità di arrangiarci da soli di non delegare tutto ciò che non ci va di fare. Che senso ha fare un lavoro alienante per pagarsi servizi che, in realtà, potremmo sbrigarci in autonomia, se solo fossimo un po’ meno impigriti?

Ma chi, io devo andare a zappare la terra? Io devo pulire il cesso? Devo andare a lavoro con i mezzi insieme alla gente che non si lava? E che mi sono laureato a fare?

Beh, amici: ero convinto che uno studiasse prima di tutto per evolvere se stesso, per aprire la propria mente, capire meglio come gira il mondo. Se invece serve solo a guadagnarci un lavoro più comodo, sedentario ma alienante, sarà la sconfitta del sapere. E del popolo.

Manlio Ranieri

Licenza Creative Commons
Dove inizia la rivoluzione? di Manlio Ranieri è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso maulis@libero.it.

Photo credits:
unsplash-logodan carlson

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*