Volemmo separarci, ritenendolo buono e saggio;
perché, compiuto il gesto, ci spaventò come un delitto?

Ah, ci conosciamo poco,
perché in noi domina un dio.

Hölderlin 

Le percezioni diverse della pena e del piacere non dipendono tanto dalla proprietà degli esterni oggetti che le eccitano in noi, quanto da un sentimento proprio ad ogni uomo, secondo il quale vien affetto in un modo piacevole o pur dispiacevole. Di là, ove gli altri non provano che disgusti, emergono le gioie di certi individui, le passioni amorose che sono sovente un enigma per coloro che non le provano, o la viva ripugnanza da cui è affetto un solo per quel che rimane indifferente a tutti gli altri. Assai lungi si estende il campo delle osservazioni di tali particolarità, dell’umana natura, e nasconde pure una feconda miniera di scoperte, non meno interessanti che istruttive. Io mi limito, per ora, a illustrare alcune parti, le quali, in questo vasto spazio, sembra che si facciano osservare in un modo speciale, e su di cui io arresto piuttosto l’occhio dell’osservatore che l’attenzione del filosofo.

Dal momento in cui l’uomo trovasi felice, perchè soddisfa una inclinazione, il sentimento che il rende capace di godere, senza che abbia bisogno di ricorrere per ciò a straordinari talenti, non è certamente poca cosa. Persone di robusta costituzione, agli occhi di cui lo più spiritoso autore non è che il padrone del loro albergo, e che trovano, disposte nel loro celliere, le opere del miglior gusto di cui abbiano acquistata conoscenza, risentiranno, per l’effetto di ciniche oscenità e di retta buffoneria, una gioia così viva come quella di cui menano vanto esseri d’una più nobile organizzazione. Il ricco che ama di leggere, perchè i libri gli sono d’un meraviglioso soccorso onde si addormenti; il mercante cui sembrano insipidi tutti i piaceri, se non sia quello di conchiudere una vantaggiosa operazione di commercio; colui che non si affeziona alle donne se non perchè osserva in esse un mezzo di sensibili godimenti; l’amator della caccia che si contenta di perseguitare le mosche a guisa di Domiziano, ove non può fare la guerra al selvagiume come il signore feudatario di due o tre baronie, tutti questi esseri vanno dotati d’un sentimento che li rende suscettibili di gustare un piacere che loro sia proprio, senza che il lor cuore sia tormentato da gelose bramosie, senza che possano pur concepire, idealmente, altri godimenti.

Epperò non è intanto su tale soggetto ch’io voglio richiamar l’attenzione. Esiste pure un sentimento d’una natura più dilicata, e che merita una denominazione più distinta, sia perchè lo si può esercitare per più lungo tempo, senza sazietà e senza esaurimento di forze, sia perchè suppone, per così dire, un felice irritamento dell’anima, che la rende propria a ricevere, a prima giunta, virtuosi movimenti; sia perchè annunzia in fine dei talenti e le belle disposizioni dello spirito, nel mentre che la sazietà e il fisico esaurimento hanno per ultimo risultato l’assenza di ogni idea. Questa disposizione è quella ch’io mi propongo di sottomettere alle mie osservazioni, non impegnandomi tuttavolta a seguirla nella lusinga annessa alle più elevate viste dell’intendimento, nè nel rapimento in cui abbandonavasi un Keplero, quando, secondo l’espressione di Bayle, non avrebbe consentito a cambiare una sola delle sue scoverte a fronte d’un principato. Quest’ultimo sentimento ha senza dubbio qualche cosa di assai fino, per essere trattato in un semplice abozzo, consacrato, per privilegio, a quelle emozioni de’ sensi, di cui sono suscettibili, come le altre, così pure le anime più comuni.

Prima d’ogni altro dobbiamo noi stabilire un principio, che il sentimento, per altri riguardi, delicatissimo, che noi vogliamo esaminare, è di due specie. Egli abbraccia il Bello ed il Sublime.

L’emozione che procurano entrambi, piace allo spirito, ma in un modo assai differente. L’aspetto delle montagne, le di cui vette coperte di neve vanno a perdersi nelle nubi, il racconto d’impetuoso oragano, o la dipintura del regno infernale, nelle di cui profondità è disceso Milton, cagionano un sentimento di satisfazione frammisto ad orrore: la vista al contrario di praterie smaltate di fiori, di valli frammezzate di ruscelli che le fertilizzano e che veggono crescere sulle loro sponde abbandonevoli pascoli; una scorsa della poetica musa nell’Eliso degli antichi, o vero la descrizione della cintura di Venere fatta da Omero, eccitano pure piacevole sentimento, ma che ha certo che di ridente e di lusinghevole. Ei fa mestieri, onde le impressioni della prima specie possono essere su di noi prodotte con tutto il vigore che loro appartiene, che noi abbiamo in noi stessi, un sentimento del Sublime; le altre, per essere ben sentite, esiggono il sentimento del Bello. Antiche quercie e le ombre folte d’un sacro bosco sono sublimi; letti di fiori, piccole macchie ed arbori tagliati ad arte son belli. Sublime è la notte; bello è il giorno. Le anime che posseggono un sentimento pel sublime saranno tratte, con una irresistibile forza, verso le sublimi idee dell’amicizia, del dispregio del mondo, dell’eternità, della silenziosa calma d’una bella sera, lorchè la tremola luce delle stelle si distingue nell’ombre notturne, e quando in mezzo a questa pausa della natura, è sospeso all’orizzonte il globo della luna. Il brillante giorno, eccitando del tutto all’attività inspira un sentimento di gioia. Il sublime commuove. Il bello incanta. La figura dell’uomo, al momento in cui vien dominato dal sentimento del sublime, è seriosa e grave, qualche fiata fissa ed attonita: per converso, il vivo sentimento del bello annunziasi con uno straordinario splendore negli occhi, col sorriso, e sovente con un allegrezza incapace d’infingersi. Lo stesso sublime dividesi in differenti specie. Accompagnato sovente da orrore e malinconia è il sentimento che desso fa nascere; in alcuni casi, solo d’una tranquilla ammirazione; e, in altri, d’una idea di ricchezza, purchè quest’ultima sembra spandersi su largo piano. Chiamerei il primo il Sublime terribile, il secondo il sublime nobile, e magnifico il terzo. Una profonda solitudine è sublime, ma in un modo che ha del terrore; nasce da ciò che le solitudini d’una immensa estensione, come gli orribili deserti di Chamo nella Tartaria, hanno, in [tutti i tempi portato l’immaginazione a trasportarvi ombre gementi, folletti ed apparizioni di spiriti.

Il Sublime deve sempre esser grande: il Bello può pure essere picciolo. Il sublime deve esser semplice, e il bello soffre d’andare adorno sin con ricercatezza. Una grande elevatezza è egualmente sublime al pari d’una grande profondità; questa però è accompagnata da un sentimento di timore: quella d’ammirazione. Il primo adunque di tali sentimenti può essere del sublime, ed il secondo del sublime nobile. L’aspetto d’una piramide egiziana solleva lo spirito, come ce ’l dice Hasselquist, più che non può altri immaginarselo da una scritta descrizione; nobile e semplice n’è però l’architettura. La chiesa di S. Pietro in Roma sarà magnifica, perchè su d’un piano semplice e vasto, cosa che vi sarebbe propria ad eccitare il sentimento della Bellezza, come, per esempio, l’oro, i mosaici, i quadri e le statue, ed è talmente divisa, che la sensazione del sublime è quella che prevale su tutto il resto: l’effetto che ne risulta mette quest’edifizio nella categoria del magnifico. Così diremo che un arsenale debb’essere nobile e semplice; un palazzo di residenza, magnifico; un casino di campagna, bello ed ornato con ricercatezza.

Una lunga durata e sublime: trattasi del tempo trascorso, essa è nobile. Mirasi in un avvenire a perdita di vista, ha qualche cosa di terribile. Rispettabile è un edifizio della più alta antichità. La descrizione fatta da Haller della futura eternità, inspira un dolce terrore, e quella del passato, una silenziosa ammirazione.

Da Immanuel Kant, Considerazioni sul sentimento del sublime e del bello (1826),  CAPITOLO I. De’ differenti soggetti propri a far nascere il sentimento del Sublime e del Bello.

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