Le città di Frontiera è un album perfetto, 1983, unione d’autore tra urgenze pop tipiche e di dovere per quel decennio di svolta della musica italia e mondiale, e profondità autoriali di un musicista in cui il valore letterario con il tempo ha superato, felicemente, quello musicale. La corsa forse perfetta delle parole in musica, più agile e incisiva di quella di altri cantautori sacri e indiscutibili. Mai banale Fossati, eppure non insidioso per le nostre orecchie, superando con stile e grammatiche fini il definitivo accostamento tra la gravità del cantautore e la poca armonia delle musiche. Perché Ivano Fossati, che ha iniziato come tutti i musicisti degli anni settanta, con i capelli lunghi (che tra l’altro gli stavano anche male) nel 1971 con i Delirium (Jesahel , portata a Sanremo) passando per Il grande mare che avremmo attraversato (in cui notevole è “riflessioni in un giorno di luce nera”, da cui:

Mattino senza sole sono qui a pensare

la mia più grande colpa è stata non capire
al mondo vivi bene solo senza cuore.

L’amore non è cosa che si può inventare
l’amore non è cosa che si può inventare.

Mattino senza sole di un grigio malato
la vera fregatura è quella d’esser nato
poi d’esser cresciuto in mezzo a quella gente.

Che pure volendo non sa darti niente
che pure volendo non sa darti niente.

Ancora a pensare fuori s’alza il vento
se avessi un vero amico ne sarei contento
c’è gente che ha qualcuno sempre accanto.

Ma spesso poi l’inganna ogni momento
ma spesso poi l’inganna ogni momento.

Giorno di luce di luce nera
ha termine il mio viaggio tra la gente non sincera
la gente che mi apprezza se parlo di denaro.

Che persino sperare mi costa caro
che persino sperare mi costa caro.

Però mi sento intorno un’aria di pace
mentre mi richiudo nel mio mondo che tace
da sempre c’è chi lotta e chi non se la sente.

Vedo tornare il sole ma non cambia niente
vedo tornare il sole ma non cambia niente
vedo tornare il sole ma non cambia niente

vedo tornare il sole ma non cambia niente

in cui è possibile rintracciare le linee guida del pensiero cantautoriale, ovvero l’impossibilità di una visione netta non costipata dal nero che abita l’interno del poeta, che è vita costante, percezione non decidibile in un pensiero chiaro e determinante, quel senso di disorientamento, le spleen, che ha origine dalla diversa alchimia che opera dentro le vene del cantastorie; nulla cambia “vedo tornare il sole ma non cambia niente” questa percezione va oltre i discorsi e i pensieri, un che di intraducibile che non può assolutamente essere rappreso in un consiglio, o in un atto di buon senso. Basta guardare le copertine degli album di Ivano Fossati, o le foto d’epoca  o le testimonianze di chi ha collaborato con lui, penso ad Oscar Prudente (Poco prima dell’aurora,  1973, album a tratti prog, vedi ‘tema del lupo’, fiabesco e “filicornesco”, un album che vede la partecipazione di Prudente, contenente in sé elementi cantautoriali ancora troppo anni settanta prima maniera, ehi amico‘un pezzo “umano”, che già preannuncia tutta la canzone ironico-descrittiva di Fossati dei decenni successivi, che già a partire da Good Bye indiana (1975) si manifesta palesemente in brani come “Storie per farmi amare” (l’anima si perde, giocando con il mondo, e canta per la gente […] e sto bene […] ancora amato e calpestato, ci credi ad un uomo mai finito?) Questo è Ivano Fossati, più di altri cantautori, più del sacro De Andrè, con il suo carisma ironico-descrittivo, rappresenta le cose “umane” in maniera agrodolce, insistendo sempre su determinati temi e su determinati termini. Tornando a Oscar Prudente, nella sua testimonianza, parla della madre di Fossati che un giorno in genovese parla di un ragazzo che suona la chitarra, facendo il gesto fedele del musicista sulla tastiera, insomma lo invita a conoscere il figlio ed il tema della madre è fondante in Fossati, come lo è stato per altri artisti, penso a Bowie, tuttavia in direzione negativa, da lui definita una “madre vergognosa”, essendo l’arte di Bowie di diversa caratura rispetto al “caldo” Fossati, l’arte di Bowie è forma e la forma nasce dall’eccesso di nevrosi, cos’altro è l’arte se non il superamento del nucleo caldo della sostanza e del valore che viene in maniera inequivocabile trasmesso dal sentimento materno; L’arte di Bowie è nevrosi perché frutto di un superamento dandystico del valore-affetto trasmesso dal nucleo materno, del tutto assente in Bowie, Bowie era “pazzo” perchè non ha avuto una determinazione stabile della personalità da parte di un’accogliente figura materna, ne sono un esempio il continuo cambiamento di costumi, l’associazione uomo-donna tanto cogente in Bowie, la scelta della musica elettronica, perchè Bowie è musica elettronica e va ricordato assolutamente per il contributo alla nascita di questa nobile disciplina. Bowie è arte, ovvero nevrosi, ovvero superamento del caldo rock e roll (c’è una dichiarazione di Bowie in cui chiaramente si legge che “non capisco quale sia il mio contributo alla storia del rock and roll”, lui ha portato l’espressionismo nel campo della musica non il rock!) ed il rock è il nucleo caldo che avrebbe dovuto creare la figura materna, ma questa non c’è stata. Diverso il caso di Ivano Fossati, “mamma si che mi vuole bene, lascia che guidi il suo mercedes fino al parrucchiere” e ancora “hai ponti d’argento tra i denti d’oro un caso non unico ed interessante di età dell’oro” “conosce il profumo per farsi valere” (Limonata e zanzare, la mia banda suona il rock 1979) In Fossati, come nell’episodio raccontato da Oscar Prudente, la madre ha un ruolo nevrotizzante, come tutte le madri, ovvero quello di trasmettere divisione (la nevrosi nasce dalla divisione del mondo psichico panoramico e privo di frazioni) eppure non così distruttiva come è stato per Bowie, che oltre ad essere un artista freddo (Fossati invece è la sostanza) è britannico, in Fossati la madre resta come presenza, ma lo accompagna per tutta la sua luminosa carriera, non decadente, non inorecchiabile (De Andrè), non prepotente, fine, elegante come il soggetto che l’ha prodotta. Fossati dice “sono un orso”, ma meglio così, ti apprezzo di più e ti apprezza anche la critica fine che all’unisono è pronta a definirti il parallelo di De Andrè più interessante, anche a mio parere, e molto sottovalutato, relegato a quel classico di “la mia banda suona il rock” oggetto di paradossi come “la mia PANDA suona il rock” e similia. Un parallelo più interessante perchè più spendibile ad un ascolto per i non “impegnati” (seguaci di De Andrè), per chi non ritiene che il sangue rosso dell’impegno politico debba passare nelle vene di ogni ascoltatore tipo. Non è così. Fossati parla anche degli incontri avuti con De Andrè, una volta in treno, poi l’invito di uno che disse “voi due dovete assolutamente fare un album insieme” e nasce Anime Salve (1996), di cui apprezzo al massimo tre tracce, come per il repertorio di De Andrè, riesco a sostenere quel suo “pessimismo” (che poi pessimismo non è) soltanto per pochi minuti poi sento l’istinto di cambiare canale, quella voce troppo baritonale e quell’occhio guercio mi fanno paura, ma mi fanno anche ridere; quella sua timidezza, quel suo eccedere con gli alcolici che tanto fa gola ai ragazzi che pendono dalle sue labbra genovesi, non è assolutamente una virtù, così come appare anche dalle testimonianze di Paolo Villaggio (altro tipo poco virtuoso), un “perfetto cialtrone”, “dormiva fino alle due del pomeriggio”, “picchio la vecchia che lo aveva svegliato di soprassalto, tu non devi rompermi i co..”, era uno che a Giurisprudenza prendeva soltanto 18, che amava fare le risse, sarà stato anche colto, ma in maniera disordinata e sommaria, come in quella foto che lo ritrae sdraiato tra volumi di varia natura, con il giornale in mano per seguire “le cose quotidiane”, poi da inserire nei suoi testi ingarbugliati, e l’abito elegante per conservare la sua dignità di “Uomo”. Si Uomo con la u maiuscola, “da giovane tutti i miei tentativi erano volti a cercare di diventare un artista, ora invece vanno a quelli di diventare un uomo”. Caro Amico, non ci sei riuscito, Fossati si, tu no. La tua è soltanto poco arguzia e mancanza di iniziativa. Fossati invece ci è riuscito. Torniamo al tema della madre, dicevo che Oscar Prudente, narra di una madre che lo invita alla conoscenza del figlio, insomma si conoscono, nasce Poco prima dell’aurora (1973), e nasce anche un’amicizia fatta di ammirazione di Oscar per il grande genio soprattutto lirico di Fossati. Era uno che pensava in genovese e scriveva in italiano (Quei posti davanti al mare “le donne..hanno il passo in pianura”, avere il passo espressione gergale ligure) “c’era tutta Genova” e la voglia di infinito in quell’album. Poi Fossati ha studiato, “faceva i compiti” dice una volta in un’intervista con Morgan, si legava alla sedia come L’Alfieri e creava i suoi capolavori, agili e significativi, si ritira in posti dove non può subire l’influenza di nessuno (il paradosso del suo essere orso) e scrive. Cosa ha scritto Ivano Fossati? Prima parlavo del tema della madre in Limonata e Zanzare (1979) ma i temi abbondano, e i suoi occhi neri sotto le orbite sono pregni di idee, mai banali e ricercate. Ha scritto La mia banda suona il rock (1979) dove si parla di un rock bambino, di una frontiera in cui la musica ci è riuscita, bambino come lui in fondo, che insiste sempre su temi come Uomo Uomo Uomo Uomo, “e mentre andrò dovrò pensare tu non sei uomo da piegare” (dalla splendida di tanto amore, 1979) lui si sente un uomo e cerca più volte di definire questo fantomatico termine, che per me è totalmente vuoto e insignificante, un quesito mal posto, direbbe Bertrand RUssell. Cosa vuol dire essere Uomo, vuol dire non essere Donna? Non perdere il controllo? Essere attaccato alle proprie idee (“e cresce l’abitudine a un’idea che in fondo vuoi che viva” da non può morire un idea, la casa del serpente, 1977) Avere sempre polso fermo cosi che “lei non veda che ho paura” (Di tanto amore, 1979) Fossati, più di De Andrè ha caro questo tema, perchè è sempre infantile e non raggiunge mai la maturità, soltanto chi non riesce ad uscire dalla propria condizione cerca sempre l’alternativa, la definisce, fa il muso duro come in Dedicato (La mia banda suona il rock, 1979) “ai suonatori un po’ sballati, ai balordi come me” Ma no Ivano! Tu non sei un balordo, tu sei un bambino. In Notturno delle tre (Lindemberg, lettere da sopra la pioggia 1992) ti identifichi nell’uomo compiuto ed esatto che sicuro delle proprie stanze si lamenta di una ragazza che non lo fa dormire, e tu sei quello che sa com’è la notte, e deve dare lezioni. Non ci credo. In matto (1977), di cui anche una notevole cover di Anna Oxa in Controllo Totale, sei tu che parli, tu sei quello che la notte “niente e sicuro, sonno leggero, rumore che salta al cuore”. L’essere uomo, o compiuto, è un punto d’arrivo che da sempre ti poni, a muso duro e si capisce dalla copertina di La disciplina della terra (2000) o quella simile di La pianta del the (1988). Sembra che ti stia giudicando male, ma non è così, ti preferisco proprio per questo, per questo tuo mai realizzato ideale che corrisponde alla realtà. Se l’essere maturi, dimenticare quella “tua giovinezza” fatta di donne (la mia giovinezza, la disciplina della terra, 2000) significa dimenticare le reazioni umili dell’anima ai fatti della vita, essa non esiste, l’essere umano non cambia, non bastano le convinzioni a dirci che uno stimolo del mondo esterno vada catalogato così perchè tutti i grandi fanno così, perciò ritengo l’essere uomo un essere che non è, c’è chi continua ad allontanarsi dai suoi simili perchè convinto che stabilire un infinita distanza (cfr. un mio precedente articolo L’infinita distanza, Giovanni Sacchitelli) sia la soluzione al problema di diventare adulti o esatti. Compiuti ed esatti, se no perchè il tema della madre in Fossati resta da sfondo senza mai edipicamente lasciare il soggetto coinvolto?. Guardiamo il testo di Panama (Panama e dintorni, 1981) “oh mamacita Panama dov’è, ora che siamo in mare?” o ancora quello di “la crisi” (1979), dove egli rassicura la madre di non preoccuparsi che va tutto bene. Il tema familiare torna ancora in Ventilazione (1984) quando si sente il bisogno di “respirare” “quella coscienza segreta che si indossa per i pranzi di Natale” o più decisamente in “un natale borghese” nel “nuovo” Decadencing (2011). Il tema del nuovo, pensiamo anche ad un altro grande che è Paolo Conte, che intitola un album “contemporaneo”, sintomatico di un atteggiamento proprio dei poeti-cantautori che con l’animo desueto, spesso ottocentesco, disprezzando, non a torto, il presente, fatto di rumore, caricatura di significato e perdita di nobiltà semantica e semiotica.

Ma Fossati è soprattutto il poeta dell’amore, un amore di fronte a quale egli spesso si mostra impotente, sarà vero? Mai lineare, sempre ironico-descrittivo, il rapporto con il tema amoroso, perchè una “costruzione” di un amore? perchè uno dovrebbe aver bisogno di una preghiera se no muore “di tanto amore”? Egli è un poeta, la ricerca e la sperimentazione con la lingua italiana, sono dovute a studi accurati, come faceva Carmelo Bene che leggeva i suoi belli autori francesi incomprensibili e si beava di essere “detto” nella selva dei “significati”, o ancora “se ti dicessi che ti amo”, o ancora “amore degli occhi” dal bellissimo Le città di Frontiera (1983) sapore di anni ottanta e di Lorenda Bertè. Nella canzone: “amore degli occhi, tu vuoi me lo so, ma mi vorresti un altro uomo, ma il rancore è più forte di un uomo, più lungo l’inverno e la malinconia”, è sempre un individuo che non è quello che dovrebbe essere, ma resta nella sua maschera di compiutezza e definizione. Fossati ha davvero provato sentimenti reali nella sua vita, è davvero un individuo sensibile, io lo credo, non mente, non è il cantautore liscio e perbenino che canta l’amore banale ma in realtà non prova autentici sentimenti umani.
Nell’album “la casa del serpente” (1977) lui “non ti riconosco più, dov’è finito il nostro volo di fantasia, le nostre ansie liberate, le sento ritornate”, o ancora in “la mia banda suona il rock” con Vola, testo non banale, e l’uomo sensibile è “non mi scoppia il cuore, non mi sento affogare, perchè non ho amore di cui parlare” e se poi trova chi deve trovare “anche il mio amore vola”. Poeta è chi davvero ha qualcosa da dire, ed è silenzioso, discreto, elegante, non è un essere depensante privo di logica e di attenzione agli eventi che lo circondano, che ritiene di dover dire cose intime perchè autentiche, quando l’autenticità non gi è propria.
Il volto perfetto di Bowie o le poesie di Fossati non muoiono perchè come la pietra filosofale infallibile degli alchimisti, trasformano in oro tutto ciò che è semplice pietra.

Giovanni Sacchitelli

[in evidenza Franco Fontana, Phoenix, 1979, scatto utilizzato per la copertina dell’album Le città di Frontiera di Ivano Fossati, 1983]

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