Un homme seul est toujours en mauvaise compagnie

Paul Valéry.

Non sono certo di nulla tranne che della santità degli affetti del cuore, e della verità dell’immaginazione. Quel che l’immaginazione percepisce come bellezza deve essere vero – sia o no esistito prima – poiché secondo me tutte le nostre passioni sono come l’amore: tutte, se intensamente sublimi, sono creatrici di bellezza pura. […] L’immaginazione si può paragonare al sogno di Adamo: si svegliò e lo trovò vero.

John Keats, da Lettera a Benjamin Bailey, 22 novembre 1817

Più gli occhi serro e più i miei occhi vedono, | ché il dì posando su futili oggetti, | quando dormo, nel sonno guardan te, | e luci buie al buio in luce tendono. | Tu che con l’ombra l’ombre fai lucenti, | qual visione sarebbe al chiaro giorno, | più chiara assai, di tua ombra l’essenza, | se occhi ciechi tanto splendi in ombra: | quanta goia ai miei occhi, dico, quando | ti guardassero nel giorno vivente | se in morta notte sui chiusi occhi stai, | bella ombra imperfetta, e il sonno fendi. || Notte è ogni giorno finché io veda te, | la notte è luce se in sogno ti svela.

Shakespeare, sonetto XLIII

 

Facendoci scudo dal materialismo quotidiano con il corallo prezioso incastonato nelle parole sopra riportate, a partire dal gigante Valery che ho potuto conoscere nelle sue mille argomentazioni a partire dai Quaderni fino all’interessantissimo Variazioni sulla libertà, un opuscoletto nel quale si spiega il concetto di libertà e la sua reale possibilità nella vita moderna, con quei modi tipicamente umani come la menzogna o, facendo un passo nel barocco, con la mente vagante fuori dal tempo delle passeggiate di Pascal. Paul Valery è uno scrittore complesso, di difficile classificazione, poeta illeggibile (Il cimitero marino) autore di romanzi (Il signor Teste) autore della filosofia della danza di Degas, danza, disegno o ancora lo scritto sul metodo di Leonardo da Vinci. Ho speso molte ore della mia vita immerso nelle sue sottili riflessioni a metà tra psicologia, filosofia e scienza. A partire dalla celebre Crisi di Genova abbandonò la via dell’imperfezione rappresentata dall’arte e dalla letteratura per dedicarsi all’esattezza di pensiero, da questa crisi infatti che nascono i Cahiers, un lavoro mattutino di annotazione su diversi ambiti della cultura, dei momenti precisi di riflessione ai quali seguivano stati di coscienza normali e rilassati  “avendo consacrato queste ore alla via dello spirito, mi sento in diritto di essere sciocco per il resto del giorno”. Era amico di Andrè Gide, esiste una corposa corrispondenza tra i due fini letterati, di Gide ho apprezzato La porta stretta di meno L’immoralista, che poi tanto immorale non mi è sembrato. Paul Valery mi ha subito attirato per la sua originalità, per la sua eleganza da vero esteta, una caratteristica comune un po’ ad ogni intellettuale che decida di mettere radici in Francia, i francesi, così anche Gide (da giovane soffriva di gravi crisi nervose, una volta gridò alla madre “Io non sono come gli altri! Io sono diverso!) vivono di una contraddizione insita alla loro stessa natura. Se Cartesio con le sue Meditazioni Metafisiche o con la geometria del noioso Le passioni dell’anima, è il simbolo della matematica precisa, del razionalismo (gli assi cartesiani), del procedere con metodo nell’analisi di un problema, è al contempo del territorio dei Galli e perciò è confuso e disordinato. Lo erano i poeti maledetti, lo è Paul Valery, lo è Gide, lo era Proust. Valery insomma mi attrare per questo suo disperato tentativo di superare il disordine senza mai raggiungere l’obiettivo di superare l’imperfezione dell’arte propriamente detta. Simile a Valery in questo senso è Nietzsche, animato dal desiderio di superare quel rigore da filologo (fu autore di un raffinato studio sui frammenti di Teognide) ma nel contempo di restare nell’ambito della discussione sensata. Gli aforismi nietzcheani sono spesso contraddittori, è triste vedere come una persona che ha dichiarato che l’essenza della vita è il movimento, cercare di fermarla come si fa con una ruota di un ingranaggio senza riuscire a fermare la macchina. Dobbiamo farci scudo dal materialismo di ogni giorno con il corallo splendente delle parole poetiche, di Valery. di John Keats o di Shakespeare. Le luci e le ombre, oltre ad essere un richiamo al sonetto di Shakespeare, sono quelle del quadro di John Singer Sargent. Ho avuto la passione per l’arte visiva per diversi mesi, collezionando come una collegiale i quadri più belli, soprattutto quelli impressionisti. Adoro anche i preraffaeliti, Van Gogh, Matisse o pittori più indietro del tempo, come Botticelli o Tintoretto (visto dal vivo alle scuderie del quirinale a Roma, ricordo la meraviglia e il riso per Susanna e i vecchioni). La pittura, nonostante appartenga ad un’interpretazione del reale che esula dai reali rapporti di forza, ci permette di estendere all’infinito i fili dei nostri desideri, creando delle situazioni ideali in cui ci sono donne dal viso angelico, paesaggi ingenui nei loro colori non fotografici, uomini virtuosi nonostante i vizi. Il quadro in evidenza è di Sargent, vi invito a studiare i suoi interni Veneziani, sono sublimi. Le luci e le ombre sono quelle di Shakespeare, di Sargent ma soprattutto dell’essere umano in sé. Siccome non siamo tutti come Benedetto Croce, non possiamo permetterci di lasciare in tronco gli studi e ritirarci nel nostro bel palazzo a Napoli dove condurre dotti studi su ogni cosa, dobbiamo fare i conti con noi stessi. Avevo intenzione di intitolare questo articolo Porti a spasso le tue catene mettendo come dipinto in evidenza Stevenson, sempre di Sargent. Ho cambiato idea per una questione puramente pragmatica e di bel vedere. L’idea però avrebbe reso meglio con la citazione da Claudio Lolli vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia non so se mi fai più rabbia, pena, schifo o malinconia, oltre a questi versi c’è la parte in cui si scaglia contro la borghesia che porta a spasso le sue catene. Di queste catene vorrei parlare. Se avessi messo come dipinto in evidenza Stevenson, l’idea dell’articolo si sarebbe ancora meglio abbinata al dipinto in copertina. Stevenson è autore del celebre scritto sul doppio Dottor Jeckill e Mister Hide oppure L’isola del Tesoro, La Freccia Nera, Il master di Ballantrae, tutti letti in un determinato periodo della mia vita, con interesse e passione avventurosa. Cosa c’entrano le catene con Stevenson? Stevenson, oltre al doppio del Dottor Jeckill e M. Hide, nel quale si eplica la natura schizofrenica dell’uomo comune, diviso tra una brama di distinzione e il tenere a bada una parte bassa che era male puro, era un letterato e come tale era in conflitto con la figura paterna. I padri di tutti gli scrittori sono carcerieri, lo era Monaldo per Leopardi, e tanti altri esempi. Nasce una natura poetica e spirituale sempre tra i rovi del materialismo più feroce, proprio per reazioni a questo stato di cose si sente la necessità di elevarsi. Seguendo questo discorso e partendo dalla mia idea originaria, posso indicare il primo riferimento per esporre la mia idea sulla luce e l’ombra nell’uomo. Le catene, che tutti portiamo a spasso, sono spesso, anzi sempre, comprate da noi stessi, anche ad alto costo. San Francesco, in quanto fondatore dell’ordine mendicante dei Francescani, fu quello che nella sua condotta, quando studiavo la filosofia medioevale, mi stupì di più. I francescani, nell’esempio di Francesco D’Assisi e di Cristo, superarono il fardello della vita secolare, spogliandosi delle ricchezze, vivendo di offerte e evangelizzando conservando semplicità e bontà d’animo. Le catene che spezzarono furono quelle nevrotizzanti del denaro ma anche quelle invisibili dell’ideologia di classe. Rifiutarono la cultura, che vuol dire molto per un religioso, convinti che Dio da a chiunque di buone intenzioni gli strumenti per salvare le anime. Francesco come il Cristo, fu capace di riconoscere il peso, quel disagio della civiltà di cui parlava Freud, del denaro e della deformazione che porta il suo possesso. Se Zio Paperone sostiene di odiare tutti e di amare solo i suoi tuffi nei dobloni brillanti, allora la cosa è seria. Liberarsi dall’inclusione sociale, come fece Francesco, significa rifiutare per principio due cose a mio parere inaccettabili; 1) il legame tra sentimenti e baratto 2) l’idea di occupare il tempo. La mancanza di spontaneità che caratterizza la classe borghese (ne parlava anche Adorno riferendosi all’amore) si riflette nella particolare concezione dei sentimenti e nell’idea dello scopo delle nostre giornate. Liberarsi dai bei vestiti, dalla preoccupazione del salario, dall’ansia di piacere ai parenti, vuol dire andare oltre l’idea del sentimento-baratto. Il bambino è quello che dà tutto velocemente e spontaneamente, egli è ciò che resta ancora di quella società agreste pre-borghese di cui parlava Bachtin, in cui l’uomo è tutto all’esterno e non c’è una separazione tra coscienza e ciò che si dà a vedere all’esterno. Come il bambino si fida senza pensarci su e ci dona il suo affetto direttamente, così il borghese incatenato nel suo pensiero fatto di denaro e utile, ha il braccino corto e non si lascia andare, creando un’enorme assurdità, triste e inaccettabile. Mi è capitato spesso che nei miei confronti venisse utilizzato un metro di pensiero che vede il favore come un baratto necessario ad un’azione che spesso io avrei visto come spontanea, almeno da uno che si dice amico. Le catene che il borghese usa per strozzare i suoi polsi, gli impediscono di vivere l’istante creando una distanza incolmabile, anche se si tratta di sangue del suo sangue. Per fare contenti i nonni oppure gli zii, siamo vittima di offese gravissime e pesanti, che generano sensi di colpa mostruosi, per non aver chiuso la ruota della giornata con un obiettivo standard, ovvero economico. Freud dice che tutte le nevrosi hanno una radice sessuale io dico invece che se si imparasse a seguire l’esempio di Francesco D’Assisi allora ci sarebbero meno pazzi criminali o ragazzi incompresi. Perché non bruciamo tutti i manuali di psichiatria e iniziamo ad uscire di casa e comunicare realmente? Ha ragione il papa quando dice che non si comunica in profondo. Il senso della vita non è il denaro, si può vivere in comunità utilizzando altri metodi di sostentamento, evitando la schiavitù e i maltrattamenti tipici delle situazioni lavorative. Leviamo dalla bocca dei nostri genitori la parola parassita. La vita non è un rapporto di denaro, i sentimenti veri sono come quelli del bambino, senza portare a spasso le nostre catene. Da qui il secondo punto, occupare il tempo. Bergson parla di durata e di tempo, il primo è quello soggettivo, il secondo quello oggettivo della scienza. La nostra durata interiore è diversa da chi abbiamo a fianco, se vinciamo l’aridità esprimendo le emozioni e lasciandoci andare all’amore diretto, allora il tempo sarà diverso, passerà magari più velocemente, ma la qualità sarà migliore, leviamoci dalla testa che la vita è una catena di montaggio. Il tempo non va occupato per forza se no siamo parassiti o scansafatiche. Gli animali non lavorano eppure hanno tutto a loro disposizione, così anche gli uomini, cambia l’atteggiamento. L’odio e la violenza fanno paura solo a chi violento e malvagio lo è davvero.

Una riflessione di Giovanni Sacchitelli

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