Supplica a mia madre

E’ difficile dire con parole di figlio

ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

 

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,

ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

 

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:

è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

 

Sei insostituibile. Per questo è dannata

alla solitudine la vita che mi hai data.

 

E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame

d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

 

Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu

sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

 

ho passato l’infanzia schiavo di questo senso

alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

 

Era l’unico modo per sentire la vita,

l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.

 

Sopravviviamo: ed è la confusione

di una vita rinata fuori dalla ragione.

 

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.

Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

 

Mi alzo con le palpebre infuocate

Mi alzo con le palpebre infuocate.

La fanciullezza smorta nella barba

cresciuta nel sonno, nella carne

smagrita, si fissa con la luce

fusa nei miei occhi riarsi.

Finisco così nel buio incendio

di una giovinezza frastornata

dall’eternità; così mi brucio, è inutile

pensando – essere altrimenti, imporre

limiti al disordine: mi trascina

sempre più frusto, con un viso secco

nella sua infanzia, verso un quieto e folle

ordine, il peso del mio giorno perso

in mute ore di gaiezza, in muti

istanti di terrore…

 

Non è amore

Non è amore. Ma in che misura è mia

colpa il non fare dei miei affetti

Amore? Molta colpa, sia

pure, se potrei d’una pazza purezza,

d’una cieca pietà vivere giorno

per giorno… Dare scandalo di mitezza.

Ma la violenza in cui mi frastorno,

dei sensi, dell’intelletto, da anni,

era la sola strada. Intorno a me

alle origini c’era, degli inganni

istituiti, delle dovute illusioni,

solo la Lingua: che i primi affanni

di un bambino, le preumane passioni,

già impure, non esprimeva. E poi

quando adolescente nella nazione

conobbi altro che non fosse la gioia

del vivere infantile – in una patria

provinciale, ma per me assoluta, eroica

fu l’anarchia. Nella nuova e già grama

borghesia d’una provincia senza purezza,

il primo apparire dell’Europa

fu per me apprendistato all’uso più

puro dell’espressione, che la scarsezza

della fede d’una classe morente

risarcisse con la follia ed i tòpoi

dell’eleganza: fosse l’indecente

chiarezza d’una lingua che evidenzia

la volontà a non essere, incosciente,

e la cosciente volontà a sussistere

nel privilegio e nella libertà

che per Grazia appartengono allo stile.

 

Pasolini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*