Toglietemi tutte le parole. Che io non ne abusi, come fossero davvero carta carbone sugli spasmi del pensiero.  E non spiragli imperfetti del sentire, echi lontani di rantoli e sussurri. L’ordine caotico emozionale  risponde al vero parziale, ma resta incompreso. Il primo ascolto di una traccia sconosciuta. Si spera in un sussulto, contrappunto della platea o dell’abbaino solitario. Ma non importa. È un bisogno involontario come sistole e diastole. Impulsi elettrici esteriori o viscerali da tradurre, costante stenografia istantanea, a maglie larghe. E potrei creare immagini, ma come in Rorsharch, ognuno ci vedrebbe qualcosa di diverso. E una campana di vetro sarebbe un fluido simbolo individuale: prigionia, maternità, vizio. E allora l’intenzione comunicativa  si piega su due sottili stampelle di cristallo: empatia e serendipità. Che è come dire: “Ti raggiungo solo se mi vieni incontro”, ma alla velocità giusta, al momento giusto. Per questo ci vuole propensione o metodo, per ogni verso di poesia o rigo di narrativa. Ma bisognerebbe sempre restare uguali a se stessi nel giudizio. Allora l’arte si lascia interpretare senza pretese di verità.  Ogni parola o sfumatura tonale resta ambigua, inafferrabile nella sua essenza inafferrabile. E se io scrivessi :”mi piacciono i fiori”  potrebbe significare così tante cose da paralizzare il moto cerebrale dell’uditore. Bisogna per questo comunicare molto, parlare con la gente, per strada, nelle piazze. Per avvicinarsi all’approdo di un senso comune che dia almeno una parvenza di stabilità, ma così le parole sarebbero condizionate da una sovrastruttura. Milioni di porte chiuse. Quindi l’unica speranza è l’oltre significante. Che è come dire: “portatemi un mazzo di fiori” alla velocità giusta e al momento giusto.  Sono solo due le strade dell’artista: generare dubbi e domande o emozionare a tal punto da trascendere il significato. Essere tra la gente o discostarsene al punto da avere una doppia visione. I mezzi sono variabili, dallo scalpello alla penna, alla semplice chiacchierata al bar. L’arte dilata il problema di tutta una lista d’equazioni imperfette: linguaggio-pensiero, pensiero-emozione, emozione-azione, azione-reazione. Tutto ciò travolge il rapporto con l’Io e quello tra Io e alterità. Per questo ci si può sentire incompresi come Dante nel Paleozoico o una scimmia a New York.

La comunicazione è un sistema probabilistico, come il paradosso di Schrodinger: gatto vivo e gatto morto.

Delia Cardinale

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