Il gelo è uno stato mentale.
E’ dentro, è tutto intorno, in questa siberia desolata – un deserto di ghiaccio – in cui ogni vicinanza si è persa, ogni contatto è soltanto sfiorato, non riscalda, non avvolge.
Nella distesa bianca, a perdita d’occhio, sono solo un puntino, una insignificante macchia scura nell’unformità cromatica. Un errore.
Se continua a nevicare così presto sarò coperto.

Il gelo è uno stato mentale come il caldo, come quando indossi una T-shirt attillata che ti mette in mostra il fisico atletico e ti senti invincibile, come quando emergi dalla superficie cristallina del mare e senti addosso la carezza dei rivoli d’acqua salata che scintillano sull’abbronzatura.
Il gelo, invece, è l’artiglio che ti si conficca nella carne attraversando strati informi di abiti imbottiti e grasso sottocutaneo indesiderato. E’ lo schiaffo in pieno volto per errori che non hai mai commesso, la risata del bullo che a scuola ti chiamava cicciobomba.

Il gelo è il tempo che manca, i secondi che scappano via dal conto alla rovescia, la fredda determinazione di un’agenda che annerisce tutti gli spazi bianchi, perché non c’è mai tempo per essere improduttivi, per essere se stessi.

Il gelo sono tutte le mie mancanze, tutto quello che non sono, è il negativo della fotografia che mi ritrae come vorrei essere. E’ tutti quelli che sanno essere meglio di me, più vicini, più presenti. Più uomini. Più altri, più magri, più sicuri, più sorridenti. Più duri, come la corteccia di una quercia, come la musica dei Metallica.

Testo e foto Manlio Ranieri

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