Come l’uomo è insieme un impetuoso ed oscuro impulso del volere (indicato dal polo dei genitali come suo punto focale) e soggetto eterno, libero, sereno del puro conoscere (indicato dal polo del cervello); così… così a pagina 230, Il mondo come volontà e rappresentazione, Arthur Schopenhauer (ogni corsivo nel testo sarà preso dall’opera).
Dopo aver letto il libro due volte, come l’autore consiglia nella prefazione alla prima edizione, ho sentito il bisogno e il dovere di scrivere qualcosa su quest’opera. Invito gli illustri lettori a guardare gli occhi del filosofo di Danzica, nel ritratto di Jules Lunteschuetz. Lo conoscete tutti ma soffermatevi sullo sguardo… Paiono gli occhi curiosi di un bambino, anche se tradiscono la saggezza di chi è penetrato nell’essenziale. Solo un individuo che si chiede costantemente perché poteva concepire queste 520 pagine, non tante, visto gli argomenti trattati. Curiosità e un carattere acquisito tenace, per dare all’opera la chiarezza che le è propria. Nella prefazione alla seconda edizione scrive che la sua mente, quasi contro il suo volere, si è dedicata ininterrottamente per tutta la vita a questo lavoro. Le opere immortali nascono così, e perché sono in grado di attingere direttamente dalla natura e dalla vita. I concetti invece cambiano con lo spirito del tempo, ci dice a pag 263. Attraverso un sistema di pensieri, Schopenhauer mette in luce il suo solo pensiero: il mondo, ovvero tutto ciò che ci circonda, persino noi stessi in quanto corpo, oltre a soggetti del conoscere, è: volontà (cieca volontà di vivere perpetua che invade e anima ogni cosa) e rappresentazione  (quello che è dato conoscere a intelletto e ragione, attraverso i sensi, sui pilastri di spazio e tempo). Schopenhauer ci offre un manuale di istruzioni per noi e per il mondo, oltre a una visione filosofica illuminata che coniuga Platone e Kant e afferma un pensiero nuovo.
L’opera del genio è capace di cogliere l’idea platonica celata dietro la rappresentazione, e la sua unità distribuita nella molteplicità, in virtù della forma temporale e spaziale e della nostra apprensione intuitiva (pag. 262). Il piacere procurato dalla vera arte porta il soggetto puro della conoscenza a trascendere la volontà, ad abbandonare il modo di conoscere legato al principio di causa (Schopenhauer, come già Kant aveva fatto nella Critica della ragion pura, dedica pagine preziose alla chiarificazione del principio di causa). Il piacere suscitato dalla contemplazione del bello deriva dalla dualità: autocoscienza del soggetto puro del conoscere e idea platonica. Tutto ciò fa sì che anche l’essere umano non dotato di genio, possa godere dell’idea platonica, del distacco dal sensibile. Ciò avviene nella contemplazione dell’arte, e davanti la natura più selvaggia e incontaminata.
Schopenhauer è stato in grado attraverso la saggistica di fare arte, di giungere alla realizzazione concreta dei concetti espressi.
Nell’opera ci sono metafore da romanziere e ispirazione da drammaturgo, ragionamento sopraffino e passione. Leggere questo libro equivale a passare ore in compagnia di un uomo raro. Schopenhauer ci parla di come l’essere umano conosce. Sotto il principio di causa analizza il funzionamento dei sensi, canale d’ingresso delle informazioni sul mondo e su noi stessi. Ci illustra l’intelletto, ci parla della ragione, della realtà, dell’apparenza, dell’errore
Altra cosa che rende grande questo autore è dare senso alle parole: Errore, Sbaglio, Riso, Pianto, Allegoria, Musica, Opera, Tragedia, Poesia, Scultura, Architettura, Spazio, Tempo… Ci sono parole importanti che serve conoscere e talvolta i dizionari non bastano.
Ma cos’è la conoscenza e come avviene? Chiunque si muova e compia azioni fa scelte ogni giorno. Alla base di ogni scelta e azione ci sono meccanismi che risiedono in noi di cui spesso siamo ignari. Come guidare la nostra auto tutti i giorni, senza sapere nulla di meccanica e motore. Quando l’auto va bene nessun problema, magari non ne sfruttiamo al massimo le prestazioni, ma se perde colpi o si pianta in strada siamo nei guai.
Il mondo è la mia “rappresentazione”: è questa una verità che vale nei confronti di ogni essere vivente e conoscente; benché l’uomo soltanto possa condurla nella coscienza riflessa ed astratta. E se egli fa realmente questo, in tal modo si è insediata in lui la riflessione filosofica. Gli apparirà allora chiaro e certo che egli non conosce il sole e la terra, ma solamente un occhio che vede un sole, una mano che sente una terra; e che il mondo che lo circonda esiste soltanto come rappresentazione, vale a dire, esclusivamente in relazione ad altro, il rappresentante, cioè lui stesso (pag. 1).
Oggi Schopenhauer è tra i massimi filosofi riconosciuti, ma non è stato sempre così. Nella prefazione alla terza edizione della sua opera scrive: Il vero e l’autentico si affermerebbero più facilmente nel mondo, se coloro che sono incapaci di produrli, non congiurassero insieme, per non farli nascere. Questo fatto ha già frenato e ritardato, se non addirittura soffocato, molte cose che avrebbero potuto tornare utili al mondo. Per me, la conseguenza di ciò è stata che io, benché avessi solo trent’anni all’uscita della prima edizione di quest’opera, vedrò questa terza edizione non prima di averne settantadue. Di ciò tuttavia trovo conforto nelle parole di PETRARCA: «si quis, tota dies currens, parvenit ad vesparam, satis est» (De vera sapientia, p. 140) – Se qualcuno che ha corso tutto il giorno arriva alla sera, ciò può bastargli -.
E ancora nella prefazione alla seconda edizione: Io consegno la mia opera compiuta non ai contemporanei, non ai connazionali, bensì all’umanità, nella fiducia che non sarà priva di valore per essa, anche se ciò dovesse, come comporta la sorte del bene di ogni specie, essere riconosciuto soltanto tardi. Poiché per essa soltanto, non già per la frettolosa generazione, impegnata nella sua illusione fugace, può essere stato che la mia mente… Francoforte sul Meno, febbraio 1844.
Leggendo mi viene da pensare due cose. Primo: sapeva già tutto, lo aveva previsto. Secondo: se considerava la sua generazione frettolosa e impegnata in un’ illusione fugace sarei curioso di conoscere il suo punto di vista sulla nostra… In fondo ci dice come vanno le cose, dovrebbe riflettervi chi cerca il plauso dei contemporanei e chi teme di perderlo.
 La gioia smodata e il dolore più acuto (scrive a pag. 347) si trovano sempre soltanto nella stessa persona: poiché entrambi si condizionano a vicenda ed anche insieme sono condizionati da una grande vivacità di spirito. Entrambi sono prodotti, come abbiamo appena trovato, non dal solo presente, ma anche dall’anticipazione del futuro.
Quanto dipende nel nostro stato d’animo, nell’essere sereni o turbati, dal momento che stiamo vivendo, dal presente, e quanto dai pensieri sul futuro e sul passato? Il presente è tutto ciò che è pienamente in nostro possesso. Il passato è un ricordo, in qualche modo ci ha condotti dove siamo ma è simile al sogno. Il futuro è un concetto astratto, incerto. Eppure viviamo il presente con la testa tra passato e futuro, e in questa nostra epoca, inflazionata com’è di stimoli, anche di pessima qualità, diviene sempre più difficile prestare attenzione a ciò che merita. Cogliere l’attimo. Vivere il presente senza lasciarsi sopraffare dalle brutture e dalla paura. Schopenhauer ci mostra una strada che può condurci a tutto questo, le influenze delle Upanishad lo portano sul finire dell’opera vicino al misticismo indiano. Attraverso l’amore per la conoscenza e per la Verità Schopenhauer ha dato valore e qualità alla propria esistenza, lanciandola al di là del tempo e del fenomeno da lui così ben descritti. La vita è breve e la verità agisce in lontananza e vive a lungo: diciamo dunque la verità! (prefazione alla prima edizione).
Schopenhauer afferma che per conoscere e padroneggiare il pensiero dei filosofi occorre leggere direttamente le loro opere, e ancora che recensire il suo libro è cosa che consiglia in particolare. Così mi tolgo dall’impaccio di esprimere il suo alto e complesso pensiero in poche parole. L’essere umano si interroga sul perché della propria esistenza da sempre, Kant (a cui Schopenhauer dedica l’appendice dell’opera) afferma nella Critica della ragion pura: Mi pare che sarà di non piccolo allettamento a che il lettore* unisca il suo impegno a quello dell’autore, il proporsi di eseguire, con l’aiuto dell’abbozzo che gli è posto innanzi, in modo compiuto e durevole, un’opera grande e importante. La metafisica, quale appare dai concetti che qui proporremo, è l’unica fra tutte le scienze che sia in grado di ripromettersi, nel giro di breve tempo e con pochi sforzi, purché consociati, una siffatta compiutezza, in modo che null’altro rimanga da fare alla posterità se non ordinare il tutto, secondo i propri intenti, in maniera didattica, senza tuttavia poterne minimamente accrescere il contenuto. Di null’altro infatti si tratta se non dell’inventario, sistematicamente ordinato, di tutto ciò che possediamo mediante la ragion pura. In questo campo nulla può sfuggirci, perché ciò che la ragione trae esclusivamente da se stessa non può nascondersi, ma viene tratto alla luce ad opera della stessa ragione, appena se ne sia scoperto il principio generale.
Sebbene Schopenhauer abbia spinto il suo sguardo anche oltre, era a questo che mirava. Conoscere se stessi, le capacità della ragione, del cervello, come filosofi, neuroscienziati, e persone di buon senso fanno ogni giorno, per realizzare, finalmente, il capolavoro essere umano.

*vedasi nota in traduzione Pietro Chiodi, Critica della ragion pura, Kant, Utet. Per ideare e scrivere sono stati inoltre indispensabili: Il mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer, Newton Compton; Aforismi sulla saggezza del vivere, estratto da Parerga e Paralipomena, Schopenhauer, Classici Mondadori; Kant e le neuoroscienze, G.Vallortigara, MicroMega 1/2014

Davide Venticinque

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