L’arte vola attorno alla verità, ma con una volontà ben precisa di non bruciarsi. (Franz Kafka)

L’autore

Mimmo Jodice è uno dei grandi nomi della storia della fotografia italiana. Vive a Napoli dove è nato nel 1934. Fotografo di avanguardia fin dagli anni sessanta, attento alle sperimentazioni ed alle possibilità espressive del linguaggio fotografico, è stato protagonista instancabile nel dibattito culturale che ha portato alla crescita e successivamente alla affermazione e riconoscimento della fotografia italiana anche in campo internazionale.
Dietro la spinta di interessi per l’arte, il teatro, la musica negli anni Cinquanta da autodidatta si dedica al disegno e alla pittura. Agli inizi degli anni sessanta scopre la fotografia. Inizia allora una serie di sperimentazioni sui materiali e sui codici della fotografia, usando il mezzo non come strumento descrittivo, ma creativo.
Durante questi anni Mimmo Jodice vive a stretto contatto con i più importanti artisti delle neo avanguardie che frequentavano Napoli in quegli anni: Warhol, Beuys, De Dominicis, Paolini, Kosuth, LeWitt, Kounellis, Nitsch e molti altri. Jodice è particolarmente sensibile alle nuove idee e si dedica sempre più alla fotografia creativa realizzando lavori di ricerca concettuale.
Negli stessi anni Jodice si impegna in un intenso lavoro di indagine socio-antropologico sulla ritualità che sfocerà nella realizzazione di un libro “Chi è devoto”. Nel 1970 è invitato a tenere corsi sperimentali all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, dove poi insegnerà Fotografia fino al 1994.
La sua prima mostra viene presentata al Palazzo Ducale di Urbino nel 1968 e nel 1970 al Diaframma di Milano un’altra mostra dal titolo “Nudi dentro cartelle ermetiche” con un testo di Cesare Zavattini.

Nel 1980 pubblica ” Vedute di Napoli” dove Jodice avvia una nuova indagine sulla realtà, lavorando alla definizione di un nuovo spazio urbano e del paesaggio, scegliendo una visione non documentaria ma sottilmente visionaria, di lontana ascendenza metafisica, alla quale resterà sempre fedele; questa ricerca segna una definitiva svolta nel suo linguaggio.

Nel 1981 partecipa alla mostra “Expression of Human Condition” al San Francisco Museum of Art con Diane Arbus, Larry Clark, William Klein, Lisette Model.
Nel 1985 inizia una lunga ed approfondita ricerca sul mito del Mediterraneo. Il risultato è un libro “Mediterraneo”, pubblicato da Aperture, New York, e una mostra al Philadelphia Museum of Art, a Philadelphia.
Nel 2009 Il Palazzo delle Esposizioni di Roma gli dedica una grande retrospettiva, cinquanta anni di lavoro, dagli anni ’60 ad oggi ; replicata poi con successo a Parigi alla Maison Européenne de la Photographie.
Nel 2011 viene invitato dal Museo del Louvre per una personale con un nuovo lavoro : “Les Yeux du Louvre “.

Nel 2003 l’Accademia dei Lincei gli ha conferito il prestigioso premio ‘Antonio Feltrinelli’ per la prima volta dato alla Fotografia.
Sempre nel 2003 il suo nome è stato inserito nell’Enciclopedia Treccani.
Nel 2006 l’ Universita degli Studi Federico II di Napoli gli conferisce la Laurea Honoris Causa in Architettura.
Nel 2011 Il Ministero della Cultura Francese gli conferisce l’onoreficenza “Chevalier de l’Ordre des Art set des Lettres “.
Nel 2013 riceve dall’Università Svizzera Italiana la Laurea Honoris Causa in Architettura.
Oggi Jodice è una figura centrale di riferimento per le nuove generazioni che riconoscono nel suo lavoro una sensibilità ed una capacità unica nel coniugare sapientemente innovazione e raffinatezza classica.

Canova

Notoriamente, il polemico Longhi non sopportava il Canova, considerandolo un ghiacciaio frigido d’inutile marmo cemeteriale.. Potremmo sbagliarci, ma probabilmente di fronte a queste splendide e splendenti fotografie, creative ed interroganti di Mimmo Jodice, avrebbe anche potuto ricredersi, o almeno porsi delle domande. Perché lo scultore che il fotografo napoletano ci ricrea e reinventa, risulta completamente diverso da quello che la scolastica manualistica ci ha tramandato. Toccando i gorghi e i gangli intimi d’ognuno di noi, che guarda e stupisce, spesso scoprendo dettagli ed annodamenti anatomici insospettati, nell’effettivamente algido e «bloccato» artista di Possagno. Un irrequieto, assai più vicino a quello vagheggiato dal «romantico» Foscolo. Il Canova, dunque, che (vivisezionandolo col laser d’uno sguardo inesorabile e lirico, squartandolo nella sua totalità polita) Jodice ci racconta, anzi ci mette drammaturgicamente in scena, è quello preromantico dei «pensieri col lapis», delle danzanti tempere, solo accennate con il tulle del tutù del pennello, credibilmente già edotto dalle funerarie scoperte degli scultorei cadaveri sorpresi e rappresi nella cenere di Pompei ed Ercolano. Meta alla moda, di winckelmanniane visite artistiche. Ed il nero tagliente ed abissale (che gli serve, per arpionare e risagomare quelle carni burrose ed inespugnabili) è lo stesso vuoto metafisico che Canova trama nel Monumento funebre di Cristina d’Austria, entro quell’antro cavo d’una porta piranesiana, cui si avviano tutti i personaggi rappresentati nella ritmica marcia del marmo.   L’occhio «vulcanico» e mediterraneo, esoterico, di Jodice scopre, nella lava levigata di quel bianco angelicale, anfratti infernali, nidi morbosi, viluppi anatomici, lati oscuri, ombre demoniche, falle e patologie inconfessate, lavorando spesso dal «posteriore» dell’appariscenza monumentale. E sottolineando, come un Lessing dell’obiettivo, tanti sorpresi e sospesi «affetti» interiori, che spesso soffocano, nell’estetismo della perfezione candita: ira, smarrimento, tensione muscolare per i pugili michelangioleschi e morboso abbandono hayeziano, per la nivea Maddalena. Una forzatura «espressionista» dirà qualcuno. L’arte «tattile» di Jodice, ospitato nell’ex-chiesa atelier, felicemente riaperto, d’un altro maestro del «classico» come Messina, evidenzia l’addensarsi di un «malessere» storico, all’epoca di Leopardi e di Rossini. «Una sofferenza che si condensa nel marmo» ha suggerito Jodice.

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